..resistenza fra Perù e Bolivia..

Dal Popo al Titi

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Gli aymara delle Ande – un popolo-nazione di origini preincaiche, oggi diviso fra Perù e Bolivia – non sono gente da farsi mettere sotto, storicamente parlando. E ancora oggi danno prova della loro ammirevole capacità di lotta, vincendo in questi giorni una controversia di enorme importanza: la progettata centrale idroelettrica sul fiume Inambari non si farà. Un decreto ministeriale del governo uscente di Alan García cancella il progetto, che aveva sollevato la resistenza compatta degli abitanti dell’altopiano.

 

Gli aymara della regione di Puno – che comprende il lago Titicaca, il più alto lago navigabile del mondo, preziosa riserva d’acqua insieme ai ghiacciai andini – riuniti nel Frente de defensa de los recursos naturales de la región sur de Puno, erano da più di un mese in agitazione, praticando forme di lotta dura che condividono con molti altri popoli indoamericani, primo fra tutti il blocco delle arterie stradali o fluviali che attraversano i loro territori. Queste e altre misure di pressione sulle autorità – scioperi, manifestazioni, piantoni, blocco del ponte internazionale del Desaguadero, che collega il Perù con la Bolivia sulle sponde del Titicaca – hanno ottenuto la cancellazione del megaprogetto, che era stato affidato alla compagnia Egasur (Empresa de Generación Eléctrica Amazonas Sur), filiale del consorzio brasiliano Igesa, come ha annunciato giorni fa il viceministro per l’energia Luis González Talledo. La centrale sarebbe costata 5 miliardi di dollari e avrebbe prodotto 2.200 megawatt, ma solo la metà dell’energia era destinata al Perù, il resto sarebbe andato al Brasile.

 

A livello dichiarativo, il viceministro peruviano ha perfino affermato che d’ora in poi le concessioni alle multinazionali dovranno passare per l’approvazione delle popolazioni interessate, attraverso consulta previa “libera e informata”,  come prevede il trattato 169 della Oil, l’Organizzazione internazionale del lavoro.

 

Il viceministro si è dimenticato di puntualizzare che una legge del Congresso che assume il trattato 169 nella legislazione nazionale – approvata dopo la strage di Bagua del giugno 2009, una strage di stato con cui il governo credeva di stroncare l’agitazione amazzonica – è stata bloccata dal presidente Alan García e giace, in attesa di revisione, nella terra di nessuno fra il Congresso e la presidenza.

 

Ma quello che prevale in questi giorni fra il vasto e compatto movimento popolare è la soddisfazione di aver fatto saltare un megaprogetto come la centrale dell’Inambari, certo utile per la crecente domanda di energia della regione ma nefasto per l’ambiente e le popolazioni locali.

 

Mauricio Rodríguez, presidente regionale di Puno, si è dichiarato soddisfatto del decreto governativo: “Il progetto della idroelettrica non solo avrebbe danneggiato la sicurezza e la vita della regione, ma avrebbe anche interferito con l’autostrada Interoceanica (ancora incompleta, che attraverso Bolivia e Brasile unisce il Pacifico all’Atlantico, ndr). L’Interoceanica passa proprio per dove volevano costruire la centrale idroelettrica, 100 chilometri di autostrada sarebbero finiti sott’acqua. Lì ci sono terre coltivabili, biodiversità, 10mila abitanti.”

 

Ma la vittoria della resistenza popolare sul megaprogetto dell’Inambari, che non è un trionfo definitivo ma solo una tregua temporanea, non ha smobilitato il movimento, che non rinuncia agli atri due obiettivi: il risanamento del fiume Ramis e un alt definitivo alle concessioni minerarie nella regione. Il Frente de defensa non pretende eliminare tutte le attività estrattive, petrolifere e minerarie, perché è cosciente che si tratta di una risorsa irrinunciabile, ma esige – con la forza che danno il diritto alla vita e il rispetto del territorio – che queste attività vengano condotte in maniera responsabile, consultando e beneficiando le popolazioni locali, che hanno diritti storici su quei luoghi in quanto popoli originari, e cercando di ridurre al minimo l’impatto ambientale. Tutte cose fattibili, se non fosse per la devastante voracità delle multinazionali e la poca trasparenza delle concessioni.

 

Mentre nella provincia di Carabaya, che era stata il centro delle agitazioni nell’ultimo mese, la gente festeggia (ma senza disarmare completamente) e le scuole riaprono, ad Ayaviri, nella provincia di Melgar, la gente fa scioperi a singhiozzo e blocchi stradali per far sospendere (o almeno controllare) l’attività di tre compagnie minerarie.

 

L’apparente atteggiamento distensivo del governo è fortemente contraddetto da quanto è successo a Lima mercoledì 15 giugno: il presidente del Frente de defensa di Puno, Walter Aduviri, che si trovava nella capitale insieme ad altri sette dirigenti per dialogare con il governo, non solo non è stato ricevuto da nessuna autorità ma si è trovato all’interno di una stazione televisiva, dove aveva partecipato a una trasmissione, con la polizia fuori che lo aspettava per arrestarlo. Walter Aduviri, che ha contato sulla protezione del direttore di Panamericana Tv e di due parlamentari appena eletti, si è trovato nella scomoda posizione di leader-portavoce di un movimento, ma anche di accusato di reati commessi da manifestanti, il 26 maggio a Puno. Istigatore di violenze, insomma (ma sono in molti ad aver denunciato la presenza di infiltrati in quella manifestazione).

 

Il governo di Alan García, con lo stesso giochino che usò anche due anni fa con gli amazzonici di Bagua, prima invita al dialogo, poi fa tintinnare le manette. Il giorno dopo però, i mandati di cattura contro i dirigenti aymara sono stati ritirati. “Non sono un delinquente,” ha detto Walter Aduviri uscendo dalla stazione televisiva. “Difendere le risorse naturali non è cosa da delinquenti.”

 

Più di duecento militanti del Frente de defensa avevano passato la notte di fronte alla sede dell’emittente per impedire la cattura del loro leader e Alberto Pizango, dirigente dell’Aidesep, la maggiore organizzazione degli indigeni amazzonici, è venuto a esprimere la solidarietà del movimento di lotta indoamazzonico. Altre migliaia di sostenitori avevano già annunciato forti proteste nella città di Puno nel caso Aduviri fosse stato arrestato.

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