nessuna garanzia per le comunità dei Montes Azules

La Jornada – Sabato 25 giugno 2011

Si propone un complesso alberghiero senza alcuna garanzia per la comunità chiapaneca dei Montes Azules

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 24 giugno. Tutto sembrava pronto per la costruzione di un complesso alberghiero nella laguna di Miramar, nei Montes Azules, e la Segreteria del Turismo (Sectur) parlava di finire l’opera questo stesso anno. Nel frattempo, la comunità Emiliano Zapata, dove verrebbe realizzata l’opera, è divisa e senza consenso. Secondo coloro che ancora si oppongono, i promotori del progetto sono le precedenti autorità ejidales che rappresentano una minoranza. Inoltre, si teme che tali autorità abbiano ricevuto “ricompense per far passare la proposta”. Per adesso, il progetto è stato sospeso per mancanza di accordo.

Secondo il progetto ufficiale, l’uso di terre e lo sfruttamento turistico della laguna di Miramar seguirà tre fasi. Per i primi dieci anni gli impresari turistici gestiranno direttamente il complesso; la Società di Ecoturismo degli Ejidatarios potrà far parte dell’amministrazione e riceverà il 10% dei guadagni (al netto delle spese dell’hotel che, secondo le ultime notizie della Sectur, non sarebbe un complesso di capanne, non più). Successivamente, gli ejidatarios potranno scegliere se gestire il complesso, “a patto che” si siano qualificati per farlo. In caso contrario, l’amministrazione del complesso rimarrà nelle mani degli stessi impresari, o di altri, per i successivi 10 anni. Nel 2031 si aprirà nuovamente la possibilità di cambiare gestione, prima dell’ultimo periodo di possesso contemplato nell’accordo, nel 2042.

Su questa proposta gli ejidatarios hanno svolto varie assemblee. Il timore principale di molti era perdere il controllo delle proprie terre, che gli impresari “si sentano padroni” e loro diventino “i loro manovali”, restando al margine dei veri guadagni. In una riunione con la Sectur, l’anno scorso, respinsero il progetto. Secondo la testimonianza degli ejidatarios, “la dott.ssa Monica (funzionaria incaricata del negoziato), prima di salire sull’elicottero che la portava sempre qui, ci disse, infastidita: ‘sta bene, se non volete essere ragionevoli, allora il progetto si farà nella comunità di Benito Juárez’ “. La funzionaria assicurò che lì gli ejidatarios avrebbero accettato la proposta, perché chiedevano progetti simili. Anche Benito Juárez, considerato “irregolare” dalla Segreteria dell’Ambiente e Risorse Naturali (Semarnat), possiede terreni nella laguna. Secondo quelli di Zapata, lì la strada progettata sarebbe più lunga.

La funzionaria diede un ultimatum e l’assemblea si riunì nuovamente. Il gruppo favorevole al progetto ottenne l’approvazione, dopo una discussione che descrivono “aspra”, per maggioranza di voti dell’assemblea (che esclude donne e giovani senza terra). Allo scadere dell’ultimatum, gli ejidatarios comunicarono telefonicamente alla Sectur l’approvazione del progetto. La funzionaria ritornò “piena di giubilo” ed all’inizio del 2011 è stato firmato l’accordo tra le autorità ejidales, Sectur ed impresari.

Semarnat ha dichiarato in documenti pubblici che la riserva dei Montes Azules è un caso di conservazione “di successo”, per la generazione di progetti di sviluppo che vincolano la popolazione locale alla preservazione dell’ambiente. Allora, si domandano gli ejidatarios, “perché ci hanno sempre bocciato la proposta delle capanne ed ora portano un macroprogetto che trasforma noi padroni di queste terre in impiegati di un’impresa che si installa nell’ejido?”.

Secondo i suoi critici, il progetto della Sectur, approvato da Semarnat, non si propone di generare meccanismi per uno sviluppo sostenibile e duraturo della popolazione, bensì obbedisce a progetti di lungo termine che assicurino il controllo imprenditoriale di spazi strategici. Il complesso che si vuole costruire non garantisce fonti di reddito “sicure e degne” per i contadini, né assicura loro il controllo sui loro territori. Invece, riproduce un modello che divide chi amministra i beni e conserva il 90% dei guadagni, e chi svolge lavori precari e si spartiscono il resto.

Non sembra neppure pesare la considerazione che le famiglie abbiano almeno uno dei propri membri come “illegale” negli Stati Uniti. Secondo il rapporto di un ricercatore dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia, che ha chiesto l’anonimato (La Jornada 22/06/11), “le enormi carenze della popolazione che si trova nelle zone a grande biodiversità sono parte degli elementi che permettono alle autorità di fare pressione sugli abitanti per far accettare posizioni subordinate nelle loro terre e nei progetti che loro stessi hanno gestito”. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/25/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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