epistolare di Sergio Rodriguez

Scambio Epistolare su Etica e Politica

La classe politica e la guerra

Sergio Rodríguez Lascano

Nella lettera che il Subcomandante Insurgente Marcos scrive a don Luis Villoro, dal titolo “Appunti sulla guerra”, si illustra in maniera molto dettagliata il bilancio utilizzato da Felipe Calderón per portare a termine la sua guerra contro la popolazione messicana, seguendo gli obiettivi del vicino mandante del Nord. Questo è molto importante perché, a parte tutto, una guerra deve essere analizzata nei suoi costi. Quello che mi piacerebbe sottolineare, partendo da questo punto relativo ai costi per poi passare ad altri argomenti, è il ruolo che l’insieme della classe politica messicana ha svolto in questa guerra.

Racconta chi c’era, che quando Lenin lesse su un giornale svizzero che la socialdemocrazia di Germania e Francia aveva votato i crediti di guerra che autorizzavano entrambi i governi ad avviare quella follia che si chiamava Prima Guerra Mondiale, pensò che si trattasse di un’edizione falsa di quel giornale. Da allora, è molto importante sapere come si comportano i diversi partiti politici presenti nei parlamenti quando si vota sui soldi per fare una guerra. Sebbene in Messico il presidente ogni anno elabori una proposta di bilancio, chi ne decide l’importo e le destinazioni sono i deputati e i senatori di ogni partito politico.

In Messico, negli ultimi quattro anni – e si potrebbe dire anche negli ultimi dieci anni – i bilanci sono stati votati praticamente all’unanimità, con l’eccezione di alcuni deputati la cui obiezione non riguarda il bilancio di guerra. Con questo possiamo dire che la guerra che ha deciso di lanciare Calderón ha contato sull’avallo e l’appoggio di tutta la classe politica messicana. L’unica critica che gli muove il dissidente contumace, López Obrador, si incentra unicamente sul fatto che Calderón ha sollevato un bel vespaio, e così – volente o no – cade nella logica che il governo ha tentato di imporre: che ci troviamo di fronte ad una guerra contro il crimine organizzato, in particolare, contro il narcotraffico.

Nello stesso modo in cui Felipe Calderón utilizza questa guerra come suo unico elemento di legittimazione, la screditata classe politica messicana si aggrappa a questa guerra e giura e spergiura che, accada quel che accada nel 2012, questa politica non cambierà.

Recentemente, la dichiarazione di un vecchio priista ha suscitato clamore. Sócrates Rizzo García, ex governatore di Nuevo León, ha detto: “Durante i regimi priisti, il presidente della Repubblica aveva il controllo sulle rotte del narcotraffico, cosa che impediva che ci fossero attacchi alla popolazione. In precedenza, i presidenti definivano le strade che doveva seguire il traffico di droga per non coinvolgere la società civile… In qualche modo, si era risolto il problema del transito della droga. Esisteva un controllo e c’era uno stato forte ed un presidente forte ed una Procura forte e c’era il ferreo controllo dell’esercito… Dicevano: ‘Tu passi di qui; tu di qua; ma non toccare questi posti’… “. Subito, Enrique Peña Nieto ha dichiarato che se arriverà alla presidenza, continuerà la strada intrapresa da Calderón.

Marcelo Ebrard insistentemente ha dato il suo appoggio a Calderón in questa guerra, sostenendo che sarebbe stato meschino lesinare l’appoggio. Il consenso alla guerra comprende molti altri e molte altre istituzioni. Tutti i governatori degli stati e praticamente tutti i sindaci condividono questa strategia. Per questo, governatori e sindaci di varie regioni del paese hanno respinto le dichiarazioni di Felipe Calderón, nel senso che sfuggivano dalle loro responsabilità nella lotta al crimine organizzato, e gli hanno chiesto di “precisare meglio” le sue parole, perché sembra avere un panorama incompleto di quello che accade.

Felipe Calderón in un intervista ha dichiarato che in stati, municipi ed in altri ambiti del potere pubblico si elude la corresponsabilità prevista dalla Costituzione per affrontare in forma congiunta il crimine organizzato. Ha detto che quei livelli di governo credono che “sia facile passare la palla al governo della Repubblica”. Mario Anguiano, mandatario di Colima, ha detto che in nessuna circostanza ha eluso “né sfuggiremo mai da questa responsabilità costituzionale e stiamo lavorando in funzione degli obiettivi che abbiamo definito e garantiremo la sicurezza alla popolazione”. Al di là degli sfoghi isterici di Calderón, la realtà è che tutti sono coinvolti in questa politica.

Si potrebbe dire, ed è vero, che esiste una forte corruzione tra i governatori o i presidenti municipali, ma questo non è diverso da quello che accade nell’insieme delle istituzioni federali. Così, per esempio, il Revisore dei Conti Superiore della Federazione (ASF) ha riscontrato errori amministrativi ed omissioni in una fiduciaria della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena) che, nel 2009, ha gestito risorse per 1.640 milioni di pesos “per urgenze e spese per la sicurezza nazionale”. Nella revisione delle risorse, l’ASF ha rilevato la mancanza di licitazioni negli acquisti e contratti milionari che fanno perdere risorse all’Esercito, tra altre anomalie. Per un contratto firmato con un’impresa russa per la riparazione di cinque elicotteri, la Sedena ha dovuto sborsare 10,5 milioni di pesos solo per la cancellazione dell’accordo, poiché le condizioni non erano convenienti per l’ente.

Ugualmente, si potrebbe dire che molti governatori o presidenti municipali o deputati fanno parte delle reti del crimine organizzato, ma la stessa cosa si può dire di una serie di agenti federali, membri delle forze armate o dello stesso potere esecutivo.

Mentre l’insieme della classe politica partecipa attivamente a questa guerra, i presunti obiettivi che si è posta per portarla a termine non solo sono lontani, ma lo sono più che mai. La violenza non è diminuita, ma è aumentata in maniera esponenziale. Ogni settimana si supera il record precedente di violenza. Ogni volta sono più morti, ogni volta più scomparsi, ogni volta più arrestati, ogni volta più bambini coinvolti nella guerra, da una parte e dall’altra. Per esempio, la Rete per i Diritti dell’Infanzia in Messico (Redim), formata da 67 organizzazioni civili, ha documentato che, nel 2009, la Segreteria della Difesa Nazionale ha arruolato dei minorenni nel servizio militare anticipato per lo sradicamento di coltivazioni di marijuana e papavero. Ha inoltre denunciato, sulla base di documenti ufficiali, che nella lotta dell’esercito contro il narcotraffico partecipano dei minorenni reclutati mediante il Servizio Militare Nazionale ed il Sistema Educativo Militare. Lo scorso 31 di gennaio, la Redim ha presentato il documento “Infanzia e conflitto armato in Messico”, elaborato con informazioni della stessa Sedena, nella cui Terza Relazione dei Lavori 2009 consta che, dal 25 maggio al 1 agosto di quell’anno, 314 adolescenti hanno svolto questo compito in Michoacán. Secondo la Redim, è la prima volta che “si sa” con certezza che degli adolescenti sono coinvolti in azioni di “lotta contro il narcotraffico”.

E se l’obiettivo di ridurre la violenza non si raggiunge, non lo è neppure quello di ridurre il consumo di droga. Mentre il consumo di marijuana nel paese aumenta, la distruzione di colture di questa droga ed i sequestri diminuiscono. Durante l’amministrazione del presidente Felipe Calderón, la media annuale della distruzione di coltivazioni documentata dall’esercito è inferiore a quella dei mandati di Ernesto Zedillo e Vicente Fox. Dal 1995 al 2000, secondo la relazione della Segreteria della Difesa Nazionale, ogni anno venivano distrutti 19.523 ettari di marijuana, in media; dal 2001 al 2006, la cifra è stato di 25.800; ma nell’attuale  amministrazione, dal 2007 al 2009, è crollata a 17.014 ettari l’anno.

Il consumo di droga in Messico è schizzato: il suo valore attuale sul mercato nazionale supera gli 8.780 milioni di dollari l’anno, secondo informazioni della Segreteria di Pubblica Sicurezza (SSP) federale. “In Messico è aumentata in maniera importante la dipendenza, e devo segnalare che è uno dei fattori più importanti che bisognerebbe denunciare e assistere”, ha ammesso il suo titolare, Genaro García Luna durante la sua comparizione davanti ai legislatori. “La parte più importante nel consumo è occupata dalla marijuana, con una proporzione quadruplicata negli ultimi dodici anni”.

Naturalmente, per realizzare un’analisi completa sull’argomento è impossibile non considerare che si tratta di un grande affare. Affare del quale fanno parte i grandi industriali del paese e del mondo. E fino a che questo sarà un grande affare, i capitali continueranno a fluire verso questo settore.

Come segnala il Subcomandante Insurgente Marcos nella lettera citata, in questo grande affare il capitale nordamericano guadagna su due fronti: vendendo armi alle forze incaricate della violenza dello Stato e vendendo le stesse armi ai capi della droga. Lo fa anche, ed ora si sa, dagli uffici stessi delle istituzioni incaricate di vigilare sulla vendita delle armi.

Ma l’affare non si ferma lì. Secondo Víctor Cardoso, del quotidiano La Jornada, nei quattro anni del governo di Felipe Calderón sono stati riciclati 25.991 milioni di dollari. Parlando solo di quello che si lava attraverso il sistema bancario, per non parlare della quantità di hotel, scuole, centri ricreativi, eccetera, che sono semplicemente la facciata che occulta il riciclaggio di denaro sporco.

Stando così le cose, possiamo dire che, dentro le finanze di questa guerra, è possibile incontrare il sistema bancario messicano, oggi prevalentemente in mani straniere, e dunque non si può negare che una buona parte della quantità di soldi che si trovano in questo settore viene dal narcotraffico.

Inoltre, sappiamo che ogni anno entrano in Messico 29 mila milioni di dollari dal narcotraffico. Questo spiega, in buona parte, perché il Messico nel 2009 non sia caduto in una crisi peggiore ed quello che sta dietro la ripresa tanto esaltata del 2010, in un momento in cui le esportazioni di petrolio sono minori così come l’entrata di valuta grazie alle rimesse degli emigrati. Questa cifra è superiore a tutto l’Investimento Straniero Diretto che solo l’anno scorso è stato di 16 mila milioni di dollari, e di questo affare beneficia una buona parte della classe politica messicana. Per questo, questa guerra non è realmente contro il narcotraffico, perché sarebbe come tagliare la mano che ti nutre.

Il potere corrompe dice la vecchia massima, ma il potere e il denaro corrompono due volte. Per questo il panorama nel Messico del 2011 è quello di funzionari dello Stato che scoprono le mille e una strada per accedere a quella fonte inesauribile di entrate. Nella loro opera Mil mesetas, Delleuze e Guattari dicevano: “Così come il capitale cresce in maniera costante e smisurata rispetto al capitale variabile, la guerra diventa sempre più una guerra di armamenti. La crescita della composizione organica di capitale si traduce così nella crescita della composizione organica di capitale militare”.

Con questo si è aperta un’epoca di degrado ed umiliazione. Una guerra fatta con l’ordine di combattere il crimine organizzato cerca di contendere a quest’ultimo i guadagni. Si tratta dell’azione degradata del potere che utilizza una copertura ideologica per uno scopo inconfessabile. Ma vuole anche un’altra cosa: umiliare la società, facendole pagare i costi di sangue di questa guerra, cercando di distruggere l’ambito collettivo che trova sul suo passaggio; ogni ambito sociale che riesca a calpestare. Epoca di degrado e umiliazione che tutto annuncia proseguirà dopo il 2012 mentre si sta realizzando tutto quello che i candidati avevano presentato nel 2006; compreso quello che López Obrador aveva esposto nel suo libro Proyecto alternativo de nación, in cui segnalava che era giusto utilizzare l’esercito contro i narcos, poiché si trattava di un problema di sicurezza nazionale.

Oggi, in Messico, le elite politiche ed economiche che esercitano il potere, inteso non unicamente come l’esecutivo ma come l’insieme del potere, incarnano gli obiettivi più eccessivi tanto nell’accaparramento di denaro come di capacità di comando sulla società.

Tuttavia, questo slancio, questa volontà, questa apparente sicurezza svanisce quando il suo padrone alza la voce perché gli hanno ucciso un agente doganale, invece di chiedersi, là in alto, cosa ci faceva un agente doganale degli Stati Uniti a San Luis Potosí – forse la dogana non è più sul Río Bravo?- no, immediatamente, si scopre “l’assassino”.

Gli esperti sui mezzi di comunicazione mettono in discussione la rapidità con la quale si è saputo nel vicino paese del nord dell’arma assassina e dove è stata venduta, e non mettono in discussione il fatto che, in due giorni, lo Stato messicano – lo stesso che non sa chi ha assassinato Maricela Escobedo, lo stesso incapace di trovare chi ha ucciso gli studenti dell’Istituto Tecnologico di Monterrey, lo stesso che ha quasi distrutto la famiglia Reyes – ora, in due giorni, trovi un ragazzo, si presume l’assassino del funzionario statunitense, conosciuto come el Piolín.

Il problema che sorge dall’inizio è il seguente: quale è il livello di credibilità del potere politico in Messico? Perché dovremmo credergli? Chi può dire che i 35 mila assassinati in questa guerra erano membri del crimine organizzato? Perché davanti alle telecamere appaiono con armi, pistole, granate, fucili? Lo Stato, storicamente, non si è mai premurato di mettere davanti alle telecamere qualche ragazzo, vivo o morto, circondato da un arsenale? Ci siamo già dimenticati degli anni della guerra sporca contro le organizzazioni rivoluzionarie?

Queste domande sorgono, soprattutto, quando si conoscono bene le velleità cinematografiche del genio della menzogna, García Luna, che monta operativi a beneficio dei mezzi di comunicazione.

Per questo ha ragione Julio Scherer quando, nel suo libro Historias de muerte y corrupción, dice: “Dietro ogni vittima c’è un nome, un cognome, una storia, ma arriverà il giorno della resa dei conti da parte di chi si è visto coinvolto in questa tragedia che non cessa”.

Tutto questo in piena democrazia rappresentativa

Già nel numero precedente avevamo parlato del carattere di Stato d’emergenza che sta acquisendo lo Stato messicano, che lo sta trasformando in uno Stato penale di controllo che ha perso ogni prospettiva di legittimità sociale, a partire dalla mancanza di consenso. Il dominio è diventato crudo, privo di qualsiasi copertura sociale. Per questo, per il potere tutto è guerra.

Ma la cosa peculiare è che tutto questo si svolge nella cornice del sistema di democrazia rappresentativa, con un potere legislativo e giudiziario apparentemente separati dall’esecutivo.

Dalla prospettiva di detta democrazia rappresentativa, nessuno sta presentando un progetto di nazione diversa, non diciamo socialista – che sarebbe chiedere troppo – ma semplicemente alternativo alla politica della terra bruciata che si sta portando avanti contro la società e il paese.

In ultima istanza, se qualcuno vuole un’ulteriore dimostrazione dei limiti di questo sistema rappresentativo, oggi la può trovare in quello che sta accadendo in Messico.

Hanno diviso il paese in amici e nemici. I primi si trovano nel potere politico ed economico, e i secondi sono ogni cittadino al quale si vogliono togliere tutti i diritti, ad eccezione di quello di votare per i suoi carnefici.

Questo sistema consente solo una cittadinanza sotto controllo; per questo il cumulo di leggi che vogliono criminalizzare, non diciamo la protesta sociale, ma chiunque voglia esercitare i propri diritti più elementari come quello del libero transito o quello di fare una festa con gli amici, o uscire di scuola e camminare per le strade, o essere un vero difensore dei diritti umani, o dipingere graffiti, o chiamarsi Reyes, o vivere ad Apatzingán o a Ciudad Mier o a Ciudad Juárez, o quello di non andare negli Stati Uniti, o andare ad una festa, o, perfino consumare uno stupefacente.

Gli unici che hanno diritti sono i membri della classe politica e quelli che appaiono nell’elenco della rivista Forbes.

La democrazia rappresentativa, si presume, ha come base il fatto che il potere è il risultato di un’autorizzazione concessa da tutti e da ognuno degli individui. Questo, ora è chiaro, non è così. Il potere esiste nonostante lo stato di malessere che regna nella società, ed ora governa per i mezzi di comunicazione e per sé stesso.

Prima, il potere rappresentativo esisteva in funzione dell’esistenza dei diritti dell’essere umano. Oggi, questo potere rappresentativo si è trasformato in una brutta caricatura da quando i messicani sono stati espropriati dei propri diritti.

L’obiettivo non è più semplicemente garantire la vendita della forza lavoro, ma il controllo della vita stessa (il biopotere) dei cittadini in quanto tali: di quello che fanno, con chi passeggiano, con chi vanno alle feste, con chi giocano, con chi convivono, con chi si rapportano, con chi fanno l’amore.

In questo senso, si vuole generare l’idea di unanimità, di omogeneità. Non sorprende la campagna a favore del film Presunto colpevole, prodotta e diretta dagli avvocati degli assassini di Acteal. Tutti nella classe politica si sono lanciati nella difesa della libertà di espressione, come se questa fosse in pericolo, quando è completamente inesistente per la stragrande maggioranza della società, e si perseguita un ragazzo che aveva osato presentare un ricorso, mentre non è stato interpellato sull’utilizzo della sua immagine in un documentario che non è vero che semplicemente rifletteva quello che era successo in tribunale, ma rivelava quello che il direttore e l’editore volevano.

E’ stato patetico sentire commentatori “progressisti” parlare di qualcuno che strumentalizzava quel ragazzo, perché non poteva essere che uno così ignorante, che aveva fatto solo le elementari potesse presentare un ricorso.

Con un’azione di potere sono stati eliminati i diritti civili di un giovane povero, mentre gli avvocati dei criminali vivevano i loro 15 minuti di gloria. Queste sono le cause di tutta la classe politica. Ed i morti di Acteal? Qui è meglio voltare pagina e non importunare le buone coscienze che controllano i mezzi di comunicazione. Qui abbiamo un buon esempio di quello che in altri paesi è noto come “governanza”. Si crea l’immagine che, dalla società civile, esiste un movimento per frenare gli “eccessi” dello Stato e tutti i mezzi di comunicazione si muovono in quella direzione. Lo Stato felice crea un movimento di distrazione. Alla fine, si autorizza l’esibizione del documentario che mostra che la società civile ha vinto, la libertà di espressione è garantita. Nel frattempo, la guerra rade al suolo il paese.

Si può dire lo stesso dei partiti politici, concentrati come sono nel 2012. Tutti sono fuochi artificiali: alleanze sì o no, l’arrivo di Moreira al PRI, la crisi terminale del PRD, le campagne di AMLO ed Ebrard, eccetera.

Nessuno si occupa né si preoccupa dei 35 mila morti, del fatto che il mandante del Nord inonda con armi il territorio nazionale. L’unica cosa che a loro interessa è quello che succede nella propria bottega. Mai prima nella loro storia, la classe politica e le istituzioni statali sono state così inutili come oggi.

“Se prendo uno Zeta lo uccido. Perché interrogarlo?”

Così ha dichiarato il titolare della Sicurezza della città di Torréon, il generale Carlos Viviano Villa Castro. Questa è la filosofia dei militari in questa guerra. Il problema è che con questa dichiarazione è evidente che viviamo in stato di emergenza. Il fermato non richiede un processo, neanche un interrogatorio; la sola cosa da fare è ucciderlo.

A questo si aggiunge che il generale dice che bisogna “avere le palle”. E’ comprensibile quando si ha il cervello nei genitale, e così, aggiunge: “Io diffido dei poliziotti federali perché non uccidono, arrestano soltanto”. Ma, più ancora, basta e avanza che il generale creda che si tratti di uno Zeta per ucciderlo. E questo riguarda i testimoni sotto protezione, le voci, il non fermarsi ad un posto di blocco, ecc. Ed il generale dice che tutto questo fa parte del “codice d’ onore”.

Stato penale di controllo man mano che si riduce lo Stato sociale: non si tratta più di prevenire o di aiutare, si tratta di infliggere punizioni. Tutti siamo suscettibili di punizione, di morte. La punizione come metodo pedagogico. Come insegnare? Con le pallottole.

Naturalmente, dietro c’è l’obiettiva centrale di questa guerra che come abbiamo già visto non è sconfiggere il narcotraffico, ma distruggere il tessuto sociale. Paralizzare con la paura. Governare attraverso questi strumenti.

Per i mezzi di comunicazione, questi sono i nuovi eroi nazionali, per lo meno li presentano come qualcosa di spiritoso, folcloristico. Dietro, la realtà è che questa è la nuova filosofia del potere. E qui è indispensabile ripeterlo: non è un solo uomo il portatore di questa filosofia, ma l’insieme della classe politica, per azione o per omissione, è comproprietaria di questa struttura politica che si chiama Stato penale di controllo.

L’alternativa può venire solo dal basso

Se, come abbiamo detto e dimostrato, a nessuno là in alto importa niente di questo problema, ma sono la causa dello stesso; la sola alternativa reale, più reale che mai, verrà dal basso.

Seguendo le orme dei ragazzi che a Ciudad Juárez hanno deciso di controllare la loro paura ed uscire per strada a mostrare il corpo, comprendendo qualcosa che in prima istanza è complicato capire: che è lo Stato a causare il terrore; che questo è responsabile di aver messo la società civile nella situazione in cui si trova; che non è possibile parlare di due bande, mentre uno, lo Stato, è l’unico responsabile, in teoria, nel garantire la sicurezza dei cittadini.

Seguendo le orme di coloro che, tra i popoli originari, lottano per non permettere che i propri territori si trasformino in zone militarizzate e si perdano tutti i segni d’identità delle comunità.

E, soprattutto, seguendo le orme delle comunità zapatiste che hanno dimostrato, nel momento più terribile del paese, quando sembra che tutto sia ormai terra bruciata, che si può costruire un’altra cosa: una dove i militari non hanno potuto introdurre la loro filosofia di morte; dove lo Stato e la classe politica non sono riuscite ad imporre la loro agenda. Un’altra cosa dove la violenza è esiliata e si impone solo quando i paramilitari del PRI, del PRD o del Partito Verde attaccano su ordine del governatore più popolare del quotidiano La Jornada.

Lì dove non entra la droga, lì dove ciò che avanza è l’educazione, la salute, i progetti agroecologici. Lì, dove si sta costruendo il nuovo che ci permette di avere un punto di riferimento e propaganda in tutto il paese e nel mondo.

Come è stato possibile arrivare a questo?

Una parte della società civile è stata abbagliata dai giochi elettorali. Dice si sia costituito un governo legittimo, ma sembra che a questo governo i problemi reali della società facciano un baffo, e la sola cosa che ripete, in un interminabile e noioso monologo, è che è necessario prepararsi per il 2012. E, mentre si arriva a quell’appuntamento, se ci saranno altri 16 mila morti, anche questi saranno danni collaterali per raggiungere il grande obiettivo (che, d’altra parte, è sempre più remoto).

Mentre in alto si fa questo, in basso, non senza difficoltà, si sono costruite nuove organizzazioni che, indipendentemente dalla loro dimensione, fanno quello che devono fare; ancora una volta possiamo riprendere l’esempio di Ciudad Juárez.

Il malessere di fronte all’epoca in cui viviamo, epoca di morti, desaparecidos e imprigionati; epoca piena di soldati per le strade sempre con le armi spianate; epoca di canaglie che dagli scranni parlamentari si vantano della propria inettitudine e malvagità; epoca in cui, dalle corti, inclusa quella suprema, si dà copertura legale all’estremamente illegale; questa epoca richiede che avanzino le organizzazioni sociali per frenare la mano visibile del crimine che lo Stato sta compiendo. Nuove organizzazioni che guardino le comunità zapatiste e dicano “sì, si può”. Organizzazioni sociali che impediscano che questo paese sia raso al suolo dalla politica che dall’alto ha decretato che “tutti sono miei nemici”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

Intervento di Sergio Rodríguez Lascano in castigliano: http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/11rodriguez.pdf

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