sul caso di Alberto Patishtàn

La Jornada – Giovedì 27 ottobre 2011
Hermann Bellinghausen
Questa è la storia di Alberto Patishtán Gómez, professore tzotzil e membro della Voz del Amate, da anni uno dei più importanti prigionieri indigeni e di coscienza del Messico. Si dichiarò in digiuno Dal 29 settembre scorso è in sciopero della fame, come i detenuti dell’Altra Campagna che chiedono la loro liberazione.
E’ stato arrestato nel 2000 e condannato a 60 anni di prigione con l’accusa di aver ucciso sette poliziotti a Las Limas (El Bosque) a giugno di quell’anno. Nello stesso processo fu assolto un altro imputato, Salvador López González, base di appoggio zapatista, perché il giudice ritenne che l’unico sopravvissuto, Rosemberg Gómez, “non fu sincero quando lo denuncò”.
Secondo la sua difesa, rappresentata all’epoca del suo primo sciopero della fame, tra febbraio ed aprile del 2008, da Gabriela Martínez López, “l’unico testimone fu indotto in maniera inverosimile a testimoniare contro López e Patishtán”.
Il giudice ignorò le contraddizioni e condannò alla massima pena il secondo, che aveva presentato prove ragionevoli di non aver partecipato all’imboscata. Nonostante l’appello ed il ricorso, a maggio del 2003 fu condannato. “Chi lo conosce sa della sua innocenza e della sua forza morale. La condanna è una vendetta delle autorità nel caso dei poliziotti uccisi”. Avevano bisogno di un “capro espiatorio”, fatto che ricorda il celebre caso del leader lakota Leonard Peltier, condannato all’ergastolo negli Stati Uniti “perché qualcuno doveva pagare” per la morte di un agente dell’FBI.
Patishtán apparteneva ad un gruppo di comuneros in contrasto con l’allora presidente municipale di El Bosque, il priista Manuel Gómez Ruiz, che li teneva sotto minaccia. Un mese prima dell’imboscata marciarono nella capitale dello stato. Il giorno dei fatti Patishtán si trovava nel municipio di Huitiupan insieme ai genitori, perché lì dirigeva un albergo. Le prove sono numerose.
I suoi avvocati hanno ripetutamente chiesto di ripresentare il caso nel contesto di quegli anni, quando la rappresaglia politica era la regola.
Si ricordi che nella zona operava, fuori controllo, il gruppo criminale-paramilitare dei Los Plátanos, circa 80 ragazzi addestrati dalla polizia e dall’Esercito federale che si erano stabiliti nella comunità di Los Plátanos.
Il periodo del governatore Roberto Albores Guillén (1998-2000) “fu un periodi di repressione, morte ed azioni paramilitari”. Il 10 giugno 1998, centinaia di poliziotti e soldati attaccarono le comunità Chavajeval, Unión Progreso e El Bosque, con un saldo di otto morti e più di 50 arresti. Nel 1999 la violenza in Chiapas si rifugiava sotto la protezione dell’Esercito federale che aumentò la sua presenza da 66 a 111 municipi. Alla fine del 2000, solo negli Altos erano avvenute altre otto esecuzioni.
Le prime indagini della Procura Generale della Repubblica indicavano che gli autori potevano essere stati uno dei “gruppi armati” sui quali indagava (alla fine inutilmente) l’Unità Speciale per i Reati Commessi da Presunti Gruppi di Civili Armati, che concluse che il gruppo aggressore si era impadronito delle armi dei sette poliziotti uccisi, armi ad uso esclusivo dell’Esercito. “Come potevano farlo solo due persone? Come avevano potuto mettersi insieme un priista (Patishtán lo era a quel tempo) ed uno zapatista, Salvador López, per tendere un’imboscata ai poliziotti? Non si conoscevano nemmeno. A questo non è mai stata data una spiegazione”, ancora tre anni fa sosteneva la sua difesa..
Patishtán adduce una rappresaglia dell’allora sindaco Gómez Ruiz, chi obbligò suo figlio Rosemberg ad accusarlo.
“Oggi sappiamo dai familiari di Patishtán che la testimonianza fu comprata con un camioncino Ford. Ogni volta che Rosemberg si ubriaca confessa di essere stato costretto a ‘mandare in prigione Patishtán”, riporta la relazione della sua difesa.
Il professore tzotzil è stato trasferito ingiustificatamente in una prigione federale a Guasave, Sinaloa, lo scorso 20 ottobre, e fino ad ora nessuno ha potuto mettersi in contatto con lui. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/27/politica/026n1pol
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dichiarazione della Commissione di concordia e pacificazione

La Jornada – Martedì 25 ottobre 2011
Cocopa: E’ offensivo che Fox equipari gli indigeni ai narcos
ENRIQUE MÉNDEZ
La Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) respinge la proposta dell’ex presidente Vicente Fox, che ha proposto una figura di intermediazione col crimine organizzato simile a quella che mediò con l’EZLN ed il governo federale.
“Il dialogo tra l’EZLN ed il governo federale avvenne grazie all’ampia mobilitazione del popolo messicano che impose l’imperativo di risolvere il conflitto mediante il negoziato, e la sua direzione è molto diversa dalla lotta contro la delinquenza”, ha dichiarato.
In un comunicato, la commissione respinge la definizione fatta da Fox del subcomandante Marcos come “criminale” ed esorta il rappresentante del PAN “ad escludere delle sue impertinenti dichiarazioni e allusioni ogni attore del conflitto armato in Chiapas e del processo di Pace incompiuto in quello stato”.
Afferma che la raccomandazione di Fox di negoziare un patto tra il crimine organizzato e lo Stato messicano ed equipararlo al processo di dialogo col movimento zapatista “costituisce un’offesa alla Nazione ed alle giuste lotte degli indigeni messicani per accedere a migliori condizioni di vita”.
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Chiapas: denuncia dei detenuti in sciopeo della fame

Denuncia dei detenuti in sciopero della fame

All’opinione pubblica
Ai mezzi di comunicazione statali, nazionali ed internazionali
Ai media alternativi
Agli aderenti all’Altra Campagna
Alla Sesta Internazionale
Alle organizzazioni indipendenti
Ai difensori dei diritti umani ONG
Prigiornieri politici della Voz del Amate
Voces Inocentes
Solidarios de la Voz del Amate
Aderenti dell’Altra Campagna dell’EZLN detenuti nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de Las Casas Chiapas.
La mancanza di giustizia nello stato ha provocato molti danni alla vita dell’essere umano, con gli omicidi, gli espropri, le sparizioni e gli arresti ingiusti, tra gli altri, come la nostra attuale situazione di detenuti senza aver commesso reati.
È per questo motivo che abbiamo intrapreso l’azione di sciopero della fame, presidio e digiuno, e in dodici siamo da 26 giorni in sciopero, ormai con complicazioni alla salute, mal di testa, vista annebbiata, nausea, dolori alle ossa e debolezza in generale, ma in questo lasso di tempo non è stata data soluzione alle nostre richieste di liberazione.
Pertanto denunciamo pubblicamente la mancata attenzione alle nostre richieste da parte delle autorità incompetenti, e della richiesta della nostra liberazione immediata e incondizionata a Juan Sabines Guerrero, governatore dello stato. Insieme ai compagni che si trovano in altre prigioni, di El Amate e di Motozintla, chiediamo il ritorno immediato al Carcere N. 5 del compagno Alberto Patishtán Gómez o la sua immediata liberazione.
Infine, invitiamo le organizzazioni indipendenti nazionali ed internazionali ad unirsi a noi nella richiesta di giustizia vera e libertà per tutti i prigionieri politici del paese.
Fraternamente
La Voz del Amate
Voces Inocentes
Solidarios de la Voz del Amate
Carcere N. 5 di San Cristóbal de Las Casas Chiapas
24 ottobre 2011
—————————-
Área de Sistematización e Incidencia / Denuncia Pública
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos,
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Código Postal: 29240
Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548
Fax +52 (967) 6783551
denunciapublica@frayba.org.mx
www.frayba.org.mx
Facebook: Chiapas Denuncia Pública
Twitter: chiapasdenuncia
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ingiustizia in Chiapas

Los de Abajo
Gloria Muñoz Ramírez
Emilia Díaz è la moglie di Rosario Díaz, detenuto nell’Istituto Penitenziario N. 5 di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, dove sta scontando una condanna a 45 anni di prigione accusato di sequestro e omicidio. Rosario, come gli altri 10 prigionieri politici da 24 giorni in sciopero della fame per chiedere la loro liberazione, sta scontando una sentenza frutto di un processo ingiusto e razzista, piagato da irregolarità di cui trabocca l’apparato di giustizia del governo di Juan Sabines e dei suoi predecessori, sia Pablo Salazar Mendiguchía sia Roberto Albores Guillén, in uno stato storicamente emblematico per l’ingiustizia verso gli indigeni.
Torture, testimoni falsi, detenzioni arbitrarie, mancanza di traduttori nei processi ed un’infinità di irregolarità sono presenti nei processi di centinaia di indigeni imprigionati in Chiapas. Di molti si presume l’innocenza, perché è dimostrabile l’arbitrio dei processi giuridici. Il reato di essere indigeno e, la cosa peggiore, di organizzarsi dentro le prigioni per chiedere la propria libertà, ha fatto sì che uno dei leader dello sciopero della fame, Alberto Patishtán Gómez, fosse trasferito improvvisamente in una prigione federale a duemila chilometri di distanza, a Guasave, Sinaloa, azione che è stata criticata da molti settori della società civile e da organismi dei diritti umani, come Amnesty International, che in un comunicato ha denunciato che si è trattato di “una rappresaglia per il suo ruolo attivo nello sciopero della fame e nelle rivendicazioni per il rispetto dei diritti umani dei detenuti”.
Venerdì scorso convocata dalla Rete contro la Repressione e la Solidarietà, si è svolta un’azione di protesta di fronte alla rappresentanza del “malgoverno del Chiapas” a Città del Messico, per chiedere la liberazione immediata degli 11 detenuti dell’Altra Campagna che appartengono alle organizzazioni La Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate. Contemporaneamente, sta circolando un’Azione Urgente del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, che chiede ai governi federale e statale informazioni su dove si trovi Alberto Patishtán Gómez, così come le ragioni del suo trasferimento; il suo ritorno immediato nella prigione di San Cristóbal de las Casas; che si accolgano le richieste di giustizia che esigono i detenuti in sciopero della fame e si rispettino i diritti delle persone private della libertà; e che si rispetti il diritto di manifestazione, riunione e libertà di espressione dei familiari dei detenuti in sciopero della fame che si sta svolgendo nella Piazza della Cattedrale di San Cristóbal de las Casas, Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/22/opinion/015o1pol
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Amnesty International sui detenuti in Chiapas

La Jornada – Sabato 22 ottobre 2011
Ángeles Cruz Martínez
Amnesty International chiede alle autorità messicane di rivedere i casi dei detenuti in sciopero della fame nella prigione di San Cristóbal de las Casas, perché esistono le prove dell’irregolarità dei processi e delle sentenze. In particolare, esprime la sua preoccupazione per il trasferimento del professor Alberto Patishtán in una prigione federale di Sinaloa.
Denuncia che la misura sembrerebbe una rappresaglia per la sua partecipazione al digiuno iniziato il 29 settembre insieme ad altri condannati per protestare contro la persecuzione delle autorità penitenziarie. Denunciano anche che hanno negato loro la visita di familiare e amici.
Inoltre, dallo scorso 8 ottobre, i familiari dei detenuti in sciopero della fame sono in presidio permanente nella Piazza della Cattedrale.
Amnesty International segnala che i processi giudiziari contro gli indigeni in sciopero della fame devono essere rifatti secondo gli standard internazionali sul giusto processo, o devono essere messi in libertà.
Amnesty International rivolge anche un appello ai governi federale e statale affinché rispettino il diritto dei detenuti di realizzare lo sciopero della fame ed a procurare adeguata assistenza medica, così come a non ricorrere all’alimentazione forzata.
L’organizzazione segnala che tentare di alimentare gli scioperanti contro la loro volontà è ingiustificato, perché sono nel pieno delle loro capacità mentali, specialmente se questo avviene senza adeguata supervisione di uno specialista, e prima che esista una fondata ragione medica o avvenga in modo crudele.
Un’altra preoccupazione espressa da Amnesty International riguarda le minacce e le intimidazioni delle autorità per porre fine alla protesta. In particolare, si riferisce alla situazione di Rosa López Díaz, anch’ella in sciopero della fame nella prigione, che è stata minacciata di essere separata in maniera permanente da suo figlio.
Intanto, il Consiglio Statale dei Diritti Umani (CEDH) ha chiesto alla Segreteria di Pubblica Sicurezza federale di “realizzare le azioni necessarie” affinché Patishtán sia riportato nella prigione di San Cristóbal de las Casas, poiché il suo trasferimento nell’Istituto Penitenziario N. 8, con sede a Guasave, Sinaloa, “costituisce una violazione dei suoi diritti umani”.
In un comunicato, il CEDH afferma che il trasferimento dell’indigeno “evidenzia la violazione dell’articolo 69 della legge federale di esecuzione delle sanzioni penali, secondo cui per i trasferimenti degli internati deve essere rispettato l’imperativo costituzionale di protezione dell’organizzazione e dello sviluppo della famiglia”.
Aggiunge che questo principio è stato violato, perché Patishtán è di etnia tzotzil ed allontanandolo gli viene negata l’integrazione personale, familiare e comunitaria. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/22/politica/015n2pol
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trasferimento del detenuto portavoce dei prigionieri in sciopero della fame

La Jornada – 21 ottobre 2011
HERMANN BELLINGHAUSEN
All’alba di ieri, giovedì, intorno alle 2:30, il direttore della prigione di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, José Miguel Alarcón García, ed il comandante della prigione, scortati da sette agenti di custodia, hanno trasferito nella prigione di Guasave, Sinaloa, il professor Alberto Patishtán Gómez, portavoce dei detenuti da 22 giorni in sciopero della fame.
Secondo i suoi compagni che si trovano nel presidio all’interno del carcere, il trasferimento di Patishtán Gómez “è chiaramente un tentativo di scoraggiare lo sciopero della fame”. Segnalano che le autorità governative “sono consapevoli, come noi, dell’autorità morale che rappresenta Patishtán all’interno della prigione, e più concretamente nello sciopero”.
Nel pomeriggio del giovedì, il governo statale ha annunciato che, “nell’ambito del programma di riduzione del sovraffollamento dei centri penitenziari, questo giovedì la Segreteria federale di Pubblica Sicurezza ha eseguito il trasferimento di 48 detenuti che si trovavano nelle prigioni del Chiapas in diverse prigioni federali del paese”.
In questo gruppo si trova Patishtán Gómez – aggiunge il bollettino ufficiale – “condannato a 60 anni di prigione per reati federali, dopo il suo arresto nel 2000”. Il maestro “si trova in buono stato di salute” ed è stato trasferito nel Carcere N. 8 di Guasave, Sinaloa.
Il sottosegretario degli Istituti Penali in Chiapas, José Antonio Martínez Clemente, ha precisato che tutti i detenuti trasferiti sono condannati per reati in ambito federale. In realtà, le autorità dello stato si sono dissociate dall’operativo. Ricordiamo che nel 2010, il governatore Juan Sabines Guerrero si era personalmente impegnato per la liberazione di Patishtán durante la sua visita all’ospedale di Tuxtla Gutiérrez, dove il professore tzotzil era stato ricoverato per sei mesi per problemi diabetici, per i quali non ha ricevuto l’assistenza adeguata, e si pensa che ne riceverà ancora meno nel nuovo carcere.
Patishtán è stato il portavoce ufficiale dell’azione di protesta pacifica intrapresa dai detenuti indigeni nelle prigioni di San Cristóbal, El Amate e Motozintla, rispetto al quale “il governo non solo non si è pronunciato, ma ha fatto di tutto per oscurare la protesta”, hanno dichiarato i familiari dei detenuti, ed ora “cerca di spezzare questo sciopero della fame”.
I detenuti e le loro famiglie – in presidio nel centro di San Cristóbal de Las Casas – chiedono la liberazione immediata di Patishtán Gómez e di tutti gli altri carcerati in sciopero della fame. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/21/politica/022n1pol
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sciopero della fame dei detenuti nelle carceri in Chiapas

La Jornada – Mercoledì 19 ottobre 2011
HERMANN BELLINGHAUSEN
Alberto Patishtán Gómez, portavoce della Voz del Amate e tutti i detenuti in sciopero della fame e digiuno nelle tre prigioni del Chiapas, via telefono oggi dal carcere di San Cristóbal de Las Casas, sottolinea che la protesta delle organizzazioni L’Altra Campagna, Voces Inocentes, Solidarios con la Voz del Amate e la comunità di Mitzitón “sono da 20 giorni in sciopero della fame senza alcuna risposta da parte del governo”.
Segnala che i detenuti, in particolare quelli che non assumono cibo dal 29 settembre scorso, accusano orami già forti nausee e debolezza, e che le autorità della prigione hanno ristretto le visite e l’ingresso di personale medico.
Rispetto al suo caso in particolare, il professor Patishtán ricorda “l’impegno (di concedere la sua libertà) preso dal governatore Juan Sabines Guerrero più di un anno fa nell’ospedale in cui era ricoverato; che non rimanga solo a parole, ma si concretizzi nei fatti”.
Dopo la liberazione – nel fine settimana – di Manuel Heredia e Juan Jiménez, della comunità di Mitzitón, nella sezione maschile del Carcere N. 5 restano sei indigeni in sciopero della fame, ed altri due a digiuno per 12 ore al giorno. A loro si uniscono Rosa Díaz López – nella sezione femminile -, Juan Collazo, nel Carcere N. 6 di Motozintla, ed Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 14 di El Amate.
Rispetto alla liberazione di due membri dell’ejido di Mitzitón, le autorità della comunità hanno chiarito – per telefono – che non hanno inviato nessun ringraziamento al governatore né hanno negoziato col governo. I contadini tzotziles liberati sono rimasti in carcere ingiustamente per quasi 10 anni.
Il portavoce di Mitzitón ha ricordato che si è trattato di una lunga lotta; nel gennaio scorso la comunità aveva realizzato un presidio di fronte alla prigione per chiedere la liberazione dei suoi compagni. “C’è stata anche l’azione dei compagni nazionali ed internazionali” (con riferimento alla solidarietà ricevuta). Resta in prigione Artemio Díaz Heredia.
Domenica scorsa, a 17 giorni di protesta, un gruppo dell’Altra Campagna, compreso personale medico, ha visitato la prigione di San Cristóbal. Sui carcerati in sciopero della fame riferiscono che Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Santis e Juan Díaz López sono “esposti alle intemperie ed al freddo ed alla pioggia, fuori dalle celle, in presidio sotto una tettoria di lamiera e teli di plastica”. Accusano mal di testa, petto e stomaco, nausea, riduzione di peso, diarrea, stanchezza, segni di disidratazione, crampi alle gambe e pressione sanguigna bassa. Secondo il rapporto, i segni ed i sintomi osservati indicano “conseguenze fisiche dovute al digiuno; i detenuti sono in una fase in cui il digiuno inizia ormai a produrre effetti sulla salute fisica”.
Nella sezione femminile è a digiuno per 12 ore al giorno Rosa López Díaz che accusa dolori al petto e dolore permanente per ernia ombelicale da vari mesi. “Nell’ultima settimana Tomás Trejo Liévano, che si è presentato come psicologo del Carcere, è stato da le per convincerla a ‘parlare’, nonostante il rifiuto di Rosa”, alla quale sono state esercitate pressioni affinché abbandoni la protesta.
Impossibilitati allo sciopero della fame per motivi di salute, sono a digiuno anche Andrés Núñez Hernández e Patishtán Gómez; nel Carcere N. 14, Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 6, a Motozintla, Juan Collazo Jiménez, che è “stabile, ma molto preoccupato per la madre che si trova al presidio dei familiari dei detenuti nella piazza di San Cristóbal” dall’8 ottobre.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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aggressione alla comunità CheGuevara,giunta di buon governo della Realidad

La Jornada – Sabato 15 Ottobre 2011
Hermann Bellinghausen
La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, di La Realidad Trinidad, Chiapas, ha denunciato minacce di morte con armi da fuoco, furto di prodotti, saccheggi e tentativi di omicidio contro le basi di appoggio zapatiste del villaggio Che Guevara, o Rancho La Paz, nel municipio autonomo di confine Tierra y Libertad, da parte di persone di insediamenti vicini protette da funzionari governativi.
Nei giorni 6, 7 e 8, Eladio Pérez e Filadelfo Salas, loro familiari ed altre sei persone sono  arrivate a rubare due ettari di piante di caffè ed altrettanti sono stati tagliati da Olegario ed Ángel Roblero. “Le piantagioni di caffè sono coltivate dai nostri compagni, ma queste persone stanno tagliando le piante nel terreno recuperato di Che Guevara, che si trova nel municipio ufficiale di Motozintla”, comunica la JBG.
La mattina del giorno 10, queste persone sono arrivate nuovamente sul terreno di 30 ettari con l’intenzione di tagliare altro caffè, ma le donne di Che Guevara l’hanno impedite. Tra gli intrusi, Bersaín e Misael Escobar si sono scagliati contro le donne a colpi di machete.
“La nostra compagna Martha Zunun Mazariegos è stata aggredita a colpi di machete ed è stata colpita al collo e presa a calci e poi, caduta a terra, minacciata con una pistola da Misael Escobar. Julia Aguilar ha ricevuto un colpo di con machete in testa, uno al braccio ed un calcio nell’addome. La compagna Guadalupe, di 75 anni, è stata aggredita con spintoni e minacce di morte”. Misael ha esploso tre colpi in aria. Sono poi spraggiunti altri sei zapatiste per difendere le donne e sono state minacciate di essere “eliminate una per volta”.
All’alba di martedì 11, Ángel Hernández Hernández, base di appoggio dell’EZLN di Che Guevara, mentre aspettava un’auto alla deviazione del Rancho La Paz, è stato avvicinato dai fratelli Escobar che “gli hanno legato collo e mani e picchiato, portandolo quindi in un’autofficina di proprietà di Misael al crocevia di San Dimas, dove hanno continuato a picchiarlo, e quando ha perso conoscenza hanno deciso di gettarlo nel fiume Río Grande di La Paz, a circa 100 metri, ma una donna che era con loro è intervenuta chiedendo che non lo facessero”. Poi, gli aggressori “hanno detto ad un altro dei nostri compagni, Manuel Barrios, che l’avrebbero ammazzato”.
Il gruppo degli aggressori è guidato da Silvano Bartolomé e Guillermo Pompilio Gálvez Pinto che la JBG accusa, insieme ai tre livelli di governo – municipale, statale e federale – di organizzare e manipolare la gente per provocare le basi zapatiste. “Questi atti criminali ci riempiono di rabbia e indignazione, ancora di più quando le istanze governative alle quali compete di fare giustizia li ignorano lasciandoli nell’impunità”.
La JBG denuncia Rodolfo Suárez Aceituno, presidente municipale di Motozintla, il governatore Juan Sabines Guerrero ed il presidente Felipe Calderón Hinojosa, quali “autori intellettuali” di questi “atti criminali”. Chiede alle autorità di fare giustizia. “Siamo stanchi di quello che fa il malgoverno; imprigiona gli innocenti mentre i criminali godono di piena libertà”.
La giunta zapatista avverte: “Pensano di farci paura affinché i nostri compagni abbandonino le terre che abbiamo riscattato con il sangue dei nostri compagni caduti nel 1994. Non ci arrenderemo, le difenderemo a qualunque costo e se il governo non fa niente al riguardo e l’unica opzione che ci lascia è difenderla con la nostra stessa vita, lo faremo volentieri”.
Se le autorità ufficiali non interverranno, “saranno complici di questi delinquenti”, aggiunge la JBG. “Come zapatisti, non ci vendiamo per le porcherie che distribuisce Juan Sabines, e molto meno per gli avanzi di quello che lui non riesce a mangiare”.
A due settimane dallo sciopero della fame di sette detenuti indigeni di diverse organizzazioni dell’Altra Campagna, ed altri sei a digiuno per 12 ore al giorno, il presidio dei familiari in corso da una settimana nella piazza centrale di San Cristóbal de las Casas denuncia nuove minacce di sgombero da parte del governo statale. Questo, perché lunedì prossimo inizia nello stesso luogo il Forum Mondiale del Turismo di Avventura, e non sembrano molto favorevoli all’immagine del governo chiapaneco le evidenze che si torturano e si imprigionano ingiustificatamente gli indigeni.
Come riferisce Indymedia Chiapas, questo giovedì i parenti in presidio hanno ribadito  che gli indigeni nelle prigioni di San Cristóbal, Cintalapa e Motozintla sono stati torturati sistematicamente. “L’asfissia è una delle forme di tortura più comuni in Chiapas, non solo durante i governi precedenti, ma anche nell’attuale amministrazione la cosa è sistematica”. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/15/politica/015n1pol
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dalle donne Tzotzil in carcere in Chiapas

La Jornada – Lunedì 17 Ottobre 2011
HERMANN BELLINGHAUSEN
Dal carcere di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Rosa López Díaz così scriveva nell’aprile scorso alle Mamme Antifasciste di Roma che, nella capitale italiana, avevano organizzato un incontro contro la tortura nelle prigioni: “Sono indigena di lingua tzotzil. Sono di famiglia umile e povera. Mi hanno arrestata il 10 maggio del 2007 insieme a mio marito (Alfredo López Jiménez) con l’accusa di un reato che non abbiamo commesso; ho subito trattamenti inumani come la tortura fisica e psicologica, e minacce di morte.
“E’ la cosa più triste che mi sia capitata nella mia vita di donna, non dimenticherò mai i volti delle persone che mi hanno picchiata ingiustamente; uomini e donne che dicono di essere autorità pubbliche non hanno cuore e solo violano i diritti umani imputando reati a persone che non danno loro denaro; e siamo finiti in prigione perché non conosciamo i nostri diritti e così siamo calpestati, ignorati per tutti i nostri diritti come esseri umani”.
Vittima di fabbricazioni giudiziarie e condannata a 27 anni di carcere, come suo marito oggi in sciopero della fame, Rosa raccontava alle madri italiane: “Chiedo solo perdono a Dio e che un giorno guarisca le ferite che porto dentro e fuori; la cosa più dolorosa della mia vita è che durante le torture ero incinta di quattro mesi e poi ho dato alla luce un bambino di nome Natanael López López, nato con danni cerebrali, il volto deforme e paralizzato”.
Rosa, da 17 giorni a digiuno, accompagna dalla prigione femminile di San Cristóbal lo sciopero della fame dei detenuti dell’Altra Campagna della sezione maschile del carcere N. 5, che chiedono la loro liberazione; è madre anche di un bambino di due anni, sano, che vive con lei in prigione: “I dottori hanno detto a mia madre che il bambino è nato malato per le torture ricevute al mio arresto”.
Oggi, aggiunge, “chiedo misericordia a Dio affinché mio figlio possa ricevere un trattamento adeguato per la sua malattia; ho bussato a tante porte ma nessuno mi ha ascoltato, oggi chiedo a Dio di toccare i vostri cuori affinché un giorno insieme possiate aiutarmi a superare questo dolore che mi porto giorno dopo giorno sola; non ce la faccio più, ho bisogno di voi, compagne e compagni, affinché insieme sconfiggiamo i malgoverni nei nostri paesi, meritiamo un trattamento degno, meritiamo uguaglianza”.
Funzionari governativi hanno fatto pressioni su Rosa perché abbandoni il digiuno, minacciando di toglierle la custodia del piccolo che vive con lei in prigione.
Dal 29 settembre sono in sciopero della fame Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz e Juan Díaz López. Oltre ad Alberto Patishtán e Rosa Díaz López, digiunano Andrés Núñez Hernández, Juan Collazo ed Enrique Gómez Hernández. I loro familiari, organizzati nella Voz del Amate, Voces Inocentes, Solidarios de La Voz del Amate e Mitzitón, mantengono una presidio nella piazza centrale di San Cristóbal de Las Casas per chiedere la liberazione dei prigionieri in sciopero della fame.
La comunità di Mitzitón ha comunicato che sabato scorso sono stati liberati dalla prigione di San Cristóbal i primi due detenuti in sciopero della fame: Manuel Heredia Jiménez e Juan Jiménez Pérez, “dopo 9 anni e 4 mesi di reclusione ingiusta”. La comunità tzotzil ribadisce che: “Stiamo lottando per la libertà di chi sta dentro le prigioni e fuori”. Annunciano che continueranno a lottare fino a vedere libero il loro compagno Artemio Díaz Heredia e gli aderenti che proseguono lo sciopero della fame.
“I nostri passi accompagnano quelli delle basi di appoggio dell’EZLN. Continueremo ad essere compagni e per questo vogliamo che cessi la persecuzione contro le comunità zapatiste, il cui unico reato, come noi, è quello di lottare per la propria autonomia”, concludono gli indigeni.
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nuovo numero della rivista desINFORMEMONOS

Compagne e compagni:

Condividiamo con voi il nuovo numero della rivista di strada in formato PDF da scaricare in spagnolo, inglese, francese e italiano

SECONDO ANNIVERSARIO DI DESINFORMÉMONOS

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skype: desinformemonosrevista
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“…desinformémonos hermanos
hasta que el cuerpo aguante
y cuando ya no aguante
entonces decidámonos
carajo decidámonos
y revolucionémonos.”
Mario Benedetti
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