La Jornada – Venerdì 14 dicembre 2012
La forza morale ed organizzativa dell’EZLN
Jaime Martínez Veloz
Il prossimo primo di gennaio si compiranno 18 anni dall’insurrezione armata capeggiata dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Un paese sulla soglia della modernità fu sorpreso che migliaia di insorti, in maggioranza indigeni, avessero preso le armi, come ultima risorsa, per lottare per una vita migliore per i popoli indigeni e per il paese.
La mobilitazione di migliaia di messicani obbligò lo Stato a negoziare con gli insorti una soluzione degna e giusta. Dopo più di due anni di intensi negoziati, ci fu il primo accordo tra il governo federale e l’EZLN in materia di diritti e cultura indigeni, il quale fu firmato il 16 febbraio del 1996 nel municipio di San Andrés Larráinzar, in Chiapas.
Quando si tentò di inserire tale accordo nella legislazione messicana, mediante un’iniziativa di legge elaborata dalla Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), la reazione dello Stato fu brutale, cinica e crudele. L’iniziativa di legge conteneva i postulati testuali più importanti dall’accordo firmato dal governo federale e l’EZLN; non c’era un solo concetto che non fosse stato concordato dalle parti.
La reazione dell’EZLN di fronte all’iniziativa elaborata dalla Cocopa fu di accettazione, e quella delle autorità fu di scandalo ed ipocrisia. Il presidente della Repubblica ed i gruppi di potere economico del paese accusarono la Cocopa e l’EZLN di voler balcanizzare, dividere e frammentare il paese. Coloro che lanciarono queste accuse sono gli stessi che concessero 25 milioni di ettari alle compagnie minerarie straniere e nazionali, le quali tra il 2005 e 2010 estrassero risorse minerali per un valore di 552 mila milioni di pesos e pagarono solo 6 mila 500 milioni di pesos per i diritti, cioè, 1,18%.
Nel 2002, dopo la trionfante marcia zapatista in diverse parti del paese, l’allora presidente Vicente Fox trasmise l’iniziativa di legge al Congresso dell’Unione, attraverso il Senato della Repubblica, dove fu smantellata ed al suo posto approvarono un obbrobrio legislativo la cui premessa principale era che sarebbe stata la strada per far uscire fuori dall’arretratezza e dall’emarginazione i popoli indigeni messicani. Si stabiliva che il tema dell’arretratezza e dell’emarginazione in materia indigena era una questione di programmi ed aiuti governativi, non di pieno esercizio dei diritti costituzionali, rifiutandosi così di compiere quanto concordato a San Andrés Larráinzar.
A più di 10 anni dalla promessa delle istituzioni messicane agli indigeni di farli entrare in paradiso, in cambio del rifiuto di applicare quanto concordato tra l’EZLN ed il governo federale, la realtà dà ragione agli zapatisti ed evidenza il più grande dei fallimenti dello Stato.
Tra il 2002 e 2012, la spesa federale annuale per i popoli indigeni è passata da 16 mila 663 milioni a 39 mila 54 milioni di pesos. Tuttavia, i dati di povertà ed emarginazione delle stesse agenzie governative non riportano alcun impatto sulla riduzione della povertà indigena; al contrario, questa è aumentata, ed ogni volta in modo più offensivo per una nazione dove dal 1917 tutti i governi ammettono nei discorsi ed in modi diversi il debito del Messico con i suoi indios e si dicono impegnati a sconfiggere le ingiustizie che subiscono.
Secondo i dati del Consiglio Nazionale di Valutazione della Politica di Sviluppo Sociale (Coneval) e i dati su entrate e uscite del 2010, mentre la media nazionale del tasso di povertà estrema e moderata è del 46,2%, nelle comunità e villaggi indigeni è del 79,3%, cioè, quasi il doppio. Otto indigeni su 10 non hanno avuto accesso alla terra promessa che lo Stato messicano ha offerto loro in cambio di non applicare quanto pattuito a San Andrés Larráinzar.
Secondo i dati del Coneval, l’80,3% degli indigeni è al di sotto della soglia di benessere, l’83,5% non ha accesso alla previdenza sociale, il 50,6% non conta su servizi di base nella propria abitazione ed il 40,5% soffre di carenze alimentari. Per questo diciamo che in materia indigena non ha fallito la politica pubblica, bensì la leadership dello Stato; la politica verso gli indigeni è stata di palliativi, perché non ha una visione articolata e progetti di cambiamenti strutturali, com’è contemplato negli accordi di San Andrés Larráinzar.
Dopo l’inadempimento governativo, l’EZLN decise una strategia di resistenza, rafforzando la sua organizzazione con la creazione delle giunte di buon governo, il lavoro collettivo e la solidarietà comunitaria. Negli ultimi anni sono andati avanti in silenzio, lontani dalla propaganda. Alcune persone distratte, o quelli che hanno scommesso sulla scomparsa del conflitto o il suo oblio, diffondono voci o tentano di confondere, sostenendo che l’EZLN non è più un problema, dato che, dalla loro ottica, gli zapatisti non fanno più notizia, quindi non esistono.
I dati qui esposti, che mostrano il fallimento governativo verso questo settore della popolazione, dovrebbero far capire alle élite messicane che perfino il silenzio è una forma di lotta e che non ha niente a che vedere con una presunta debolezza, in questo caso, dell’EZLN. Al contrario, mentre il dispendio ed il fallimento sono sinonimo delle politiche pubbliche, l’organizzazione, il lavoro e la disciplina sono ciò che ha distinto lo zapatismo in questa tappa.
Gli zapatisti vivono, si organizzano e lavorano in una realtà di grandi carenze materiali che suppliscono con creatività e dedizione. Hanno obiettivi chiari che trascendono le generazioni; i loro argomenti sono irrefutabili, la vitalità e la consistenza delle loro convinzioni sono state una scuola di vita per migliaia di messicani. Un abbraccio affettuoso a tutti gli zapatisti che là, nelle loro comunità, lottano ogni giorno per costruire un futuro migliore per il nostro paese. Come dicono da quelle parti: non siete soli!http://www.jornada.unam.mx/2012/12/14/opinion/021a2pol