La Jornada – Mercoledì 9 Novembre 2011
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 8 novembre. Dopo un mese, questa mattina è stato tolto il presidio dei familiari dei detenuti dell’Altra Campagna, in sciopero della fame da 39 giorni. Le famiglie indigene che erano accampate davanti alla chiesa di questa città dall’8 ottobre, hanno annunciato che proseguiranno la lotta per la liberazione dei “prigionieri politici”, “in altro modo”, dalle proprie comunità. Questo, due giorni dopo che i detenuti in sciopero della fame hanno interrotto il digiuno, ma non la protesta – come ha dichiarato oggi il loro portavoce, Pedro López Jiménez -, né la denuncia che il governo dello stato è stato sordo alle loro richieste che ritengono giuste.
Intanto, si susseguono le manifestazioni di solidarietà internazionale. Questo lunedì, l’ambasciata messicana in Svizzera e la presidentessa del Bundesrat, la socialdemocratica Micheline Calmy-Rey, hanno ricevuto una lettera di cittadini svizzeri, nell’abito di un’iniziativa prevista dalla legge elvetica, che chiede la liberazione immediata dei “prigionieri politici” che erano in sciopero della fame. Chiedono al governo svizzero di adoperarsi affinché il governo del Messico agisca “secondo gli accordi internazionali che ha firmato, per esempio, relativi alla pratica della tortura”.
Daniela Schicker, ex deputada del consiglio municipale di Zurigo, ha comunicato, a nome di questo gruppo che, inoltre chiedono che “le persone del governo messicano responsabili delle violazioni dei diritti umani e di crimini contro la popolazione siano portate davanti ad un tribunale internazionale e che si esiga a livello mondiale il risarcimento alle vittime di crimini di Stato in Messico”. Ed assicurarono: “Non tollereremo più in silenzio che il governo di quel paese presenti il Messico in Svizzera, senza vergogna, come una bella regione turistica, e nello stesso tempo violi i diritti umani in maniera crudele”.
Si chiede inoltre che gli affari con il Messico siano “messi in discussione” fino a che la situazione dei diritti umani non migliori. La lettera è stata accolta da deputati e funzionari federali della Svizzera, e nella sua versione in spagnolo sarebbe arrivata oggi a Los Pinos, alla Segreteria di Governo ed al palazzo di governo di Tuxtla Gutiérrez.Nel documento si dice: “Non possiamo fare affari e praticare il turismo con un governo come il messicano, e nello stesso tempo agire come se le violazioni costanti dei diritti umani e degli accordi internazionali, ed i crimini contro la popolazione, non abbiano niente a che vedere con gli affari ed il turismo col Messico”.
A Parigi, i collettivi francesi hanno realizzato una seconda protesta di fronte al consolato messicano. Ed un gruppo internazionale di studiosi ha solidarizzato con i detenuti ribadendo la richiesta di “sospensione della persecuzione e coazione contro chi, in maniera pacifica e degna, come i detenuti ingiustamente imprigionati, difendono il rispetto dei loro diritti elementari come detenuti, e la necessità di rivedere i loro processi piagati da irregolarità come tortura, false prove e processi senza la dovuta difesa processuale”.
Professori universitari e ricercatori di Argentina, Brasile, Stati Uniti, Messico e Spagna riconoscono la qualità umana di Alberto Patishtán, per la cui situazione si è pronunciata Amnesty International, e chiedono che sia rimandato in Chiapas (è stato trasferito in una prigione federale a Sinaloa) e rimesso in libertà. I detenuti per i quali si chiede la liberazione sono, oltre a Patishtán, Pedro López Jiménez, Rosario Díaz Méndez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz, Juan Díaz López, Andrés Núñez Hernández, Rosa López Díaz, Juan Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández.