amigou amerikano

POPOCATÉPETL

La lava del Messico

a cura di Gianni Proiettis

28 marzo 2011

 

El amigou amerikano

 

Wikileaks comincia a fare le prime vittime nella diplomazia. Dopo il ritiro di Gene Cretz, ambasciatore Usa in Libia, che si dileggiava a descrivere le bionde e formose infermiere di Gheddafi, è la volta di Carlos Pascual, ambasciatore gringo – anche se nato a Cuba –a Città del Messico che ha presentato il 19 marzo le dimissioni “per motivi personali”.

In realtà, il ritiro di Pascual è la logica conclusione di una serie di incidenti che hanno messo a nudo l’inarrestabile interventismo statunitense a sud del Rio Bravo – iniziato con il Piano Mérida di lotta al narcotraffico e arrivato recentemente a sopravvoli di droni a sud della frontiera – così come il simmetrico servilismo del governo messicano, che è arrivato a chiedere aiuto a Washington per rendere governabile Ciudad Juárez.

La notizia che ha innescato una dinamica distruttiva nei rapporti fra Messico e Stati uniti è stata la venuta a galla dell’operazione “Fast & Furious”, una notizia che non smette di sollevare onde: negli ultimi quindici mesi le autorità statunitensi, attraverso l’Atf (Alcohol, Tobacco and Firearms, l’ufficio federale incaricato del controllo delle armi da fuoco), hanno rifornito di armi da guerra i cartelli dei narcos messicani.

La rivelazione, fatta in un programma di Cbs News lo stesso giorno (3 marzo) in cui il presidente Calderón era in visita ufficiale a Washington, ha già provocato un terremoto negli ambienti politici dei due paesi.

Non fosse stato per la morte di due agenti gringos crivellati da quelle stesse armi – il primo, Brian Terry, era un agente della Border Patrol ucciso in uno scontro a fuoco a dicembre in Arizona, l’altro, Jaime Zapata, un agente dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement) trucidato da una banda armata a metà febbraio nel corso di una missione undercover in Messico – dell’operazione Fast & Furious non se ne sarebbe saputo nulla. E’ stato uno degli agenti che vi partecipavano, il 39enne John Dodson, con una grave crisi di coscienza e ora con una gran paura di perdere il posto, a fungere da gola profonda.

Nel programma della Cbs, John Dodson ha vuotato il sacco: l’operazione Fast & Furious, che era stata approvata dal dipartimento di Giustizia, prevedeva che, contrabbandando armi all’interno del Messico e seguendone il percorso, si sarebbe arrivati agli ultimi destinatari, sgominando così intere gang di criminali. In realtà, l’Atf non aveva mai effettuato alcun arresto di rilievo – solo ora, a scandalo esploso, sono stati resi noti una ventina di arresti, ma di semplici “straw buyers”, trafficanti minori e prestanomi – e aveva finito per mettere in mano alla delinquenza organizzata un arsenale sufficiente per un piccolo esercito. Più di duemila armi di grosso calibro, dai classici kalashnikov ai famigerati Barrett 50 prediletti dai narcos, i mitragliatori con mira telescopica che sfondano le auto blindate (e, secondo un marine dimostratore in Youtube, “se ben usati, possono segare in due un uomo a duemila metri”).

Il fatto che quell’armamento cominciasse a seminare vittime fra i loro colleghi ha spinto vari agenti che partecipavano all’operazione, fra cui lo stesso Dodson, a manifestare le loro inquietudini ai propri superiori. Che, a quanto pare, li avrebbero tranquillizzati dicendo: “Ragazzi, se si vuole fare un’omelette, bisogna per forza rompere le uova”. Significa che una certa dose di illegalità è necessaria e tollerabile, se si vuole imporre la legge?

Sia come sia, gli agenti “ribelli” hanno deciso di portare alla luce quella strana operazione e hanno richiamato l’interesse dei media dediti al giornalismo investigativo – primo fra tutti www.publicintegrity.org -, della Cbs e finalmente della commissione giustizia del Senato, presieduta dal repubblicano Charles Grassley, che ha aperto subito un’inchiesta.

In questi giorni, come bombe a grappolo, si sono ascoltate ripetute smentite da vari organi del governo Usa: nessuno ne sapeva un piffero dell’operazione Fast & Furious. Né Janet Napolitano, che pure dovrebbe vegliare sulla sicurezza interna del paese, né Hillary Clinton, che comunque ne ha approfittato per lamentare la violenza a sud del Rio Bravo e chiedere un rafforzamento della frontiera Messico-Guatemala, magari con l’aiuto statunitense. Anche il procuratore generale Eric Holder ha considerato “inaccettabile” un’operazione che ha fatto entrare illegalmente un armamento letale in Messico lasciandolo nelle mani della delinquenza organizzata.

A chi resterà in mano il cerino? Ai dirigenti dell’Atf che si sono inventati l’operazione, all’ufficio del dipartimento di Giustizia che l’ha autorizzata, a qualche funzionario minore che ci ha lucrato sopra? Perché c’è anche da considerare il giro d’affari milionario che sta sotto l’operazione, tanto che non è chiaro – ma dovrebbe uscir fuori – se si tratta di un business travestito da operazione di polizia o viceversa.

Per ora, a più di tre settimane dalle rivelazioni sul caso e con due commissioni d’inchiesta ancora al lavoro nei due paesi, la palla non smette di rimbalzare. Obama, il 26 marzo, ha dichiarato che è normale che i messicani non ne sapessero niente, visto che lui stesso era stato tenuto all’oscuro dell’operazione. Ma il dipartimento di Giustizia, secondo i propri funzionari, l’aveva autorizzata “dai suoi massimi livelli”.

Quello che difficilmente si saprà, a meno di un miracolo futuro di San Wikileaks, è se queste operazioni – Fast & Furious, secondo lo stesso John Dodson, sarebbe solo la punta di un iceberg e neanche conclusa – rispondono a una strategia segreta diretta a destabilizzare il vicino del sud, lo storico “cortile posteriore”, per estendervi il controllo e aumentare le ingerenze.

Sebbene con ritmi più latini, il pandemonio è scoppiato anche in Messico, dove si sente puzza di sovranità incenerita. Davanti a un governo che dice di non saperne assolutamente niente di questo “Rápido y Furioso”, Camera e Senato stanno reclamando spiegazioni e avviando inchieste su un episodio considerato gravissimo e suscettibile di mettere in questione i rapporti fra i due paesi. Il Senato ha convocato urgentemente il ministro degli esteri Patricia Espinosa e l’ambasciatore messicano a Washington Arturo Sarukhán perché informino sull’argomento.

Le relazioni fra il Messico e gli Stati uniti, già in crisi da prima, hanno toccato fondo con l’esplosione del caso Fast & Furious, che potrebbe rivelarsi tanto dirompente come un nuovo scandalo Iran-contras. La recente visita di Calderón a Washington, che ha segnato il quinto incontro fra lui e Obama, si è centrata soprattutto sulla fallita guerra al narcotraffico, che ha aumentato l’ingovernabilità in Messico e rischia di contagiare con la crescente violenza il potente vicino del nord. Ora, le rivelazioni di Fast & Furious gettano una luce schizofrenica sulla lotta al narcotraffico imposta dall’amministrazione Obama e aprono interrogativi inquietanti.

Fast & Furious, il serial cinematografico

A Washington, fino a una settimana fa, mentre Calderón si lamentava dell’ambasciatore statunitense in Messico Carlos Pascual – che lo ha dipinto come un presidente debole e incompetente nei cablo di Wikileaks – ma lo faceva allo sportello sbagliato (in interviste ai giornali, anziché per i canali ufficiali), il governo Usa aveva riconfermato la sua fiducia incondizionata al diplomatico, che non è solo un esperto in “stati falliti”, quindi molto ben collocato sullo scacchiere, ma stava anche ottenendo succosi contratti con Pemex, l’ente petrolifero di stato, a beneficio delle compagnie statunitensi e in spregio alla Costituzione messicana.

Poi improvvisamente, lunedì scorso, ha presentato le dimissioni, riscuotendo il pieno apprezzamento di Obama e della Clinton, che lamentano il suo ritiro. Per Felipe Calderón, dicono gli opinionisti messicani, la caduta del proconsole Carlos Pascual, in carica dall’agosto 2009, è una vittoria di Pirro, che i gringos gli faranno pagare cara.

Nel gossip di Città del Messico faceva rumore la relazione dell’ambasciatore con Gaby Rojas,  figlia del capogruppo parlamentare del Pri, il dinosauro che vuole tornare al potere.

ANCHE I GRINGOS PIANGONO

Senza troppo rumore, giovedì 10 marzo nella cittadina di Columbus, in New Mexico alla fontiera con Chihuahua, agenti federali hanno arrestato il sindaco, il capo della polizia e altri 11 funzionari pubblici della località di confine accusandoli di traffico di armi e droga. Gli arresti sono frutto di un’indagine realizzata congiuntamente dalla Dea (Drug Enforcement Administration), l’Atf (Alcohol, Tobacco and Firearms Department) e l’Ice (Immigration and Customs Enforcement) e confermano i sospetti di una crescente corruzione fra i funzionari della zona di frontiera.

Secondo un portavoce del Fbi citato dall’agenzia Notimex, i narcotrafficanti hanno aumentato le ricompense agli agenti e ai funzionari per ottenerne la collaborazione. “Esiste una tremenda tentazione, per qualcuno che è meno onesto, a lavorare con i delinquenti. Chi lavora sulla frontiera può farsi vari anni di stipendio in un paio di notti.”

Due mesi fa è entrata in vigore una nuova legge che obbliga tutti gli aspiranti ad entrare in un corpo di polizia di frontiera a sottomettersi a un test con la macchina della verità.

Gli arresti di Columbus sono stati eseguiti un giorno dopo la commemorazione (non festiva) di un evento storico localmente rilevante: una scorribanda oltreconfine, con relativo saccheggio della cittadina, perpetrata da Pancho Villa e le sue truppe il 9 marzo del 1916. Curiosamente, il motivo dell’incursione era una rappresaglia contro un mercante d’armi che aveva truffato il generale Villa vendendogli munizioni inservibili.

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le autorità pagano i disertori della resistenza zapatista

La Jornada – Venerdì 25 marzo 2011

Le autorità premiano con aiuti sociali chi diserta dalla resistenza zapatista

HERMANN BELLINGHAUSEN

La strategia contrainsurgente in Chiapas, ampiamente denunciata e documentata fin dal 1995, non ha cessato di svilupparsi principalmente sul piano militare ed economico. Sebbene oggi sia poco visibile, la militarizzazione attiva viene mantenuta nelle zone indigene. Le strategie economiche, frammiste a programmi istituzionali che cambiano nome, privilegi e consegna di denaro, soddisfano gli stessi fini.

La Jornada recentemente ha documentato in comunità delle varie regioni indigene, che i programmi sono più immediati e generosi verso chi abbandona la resistenza ribelle zapatista, e con priorità più bassa verso ex aderenti all’Altra Campagna. Indigeni priisti e di altre organizzazioni affini al governo degli Altos, per esempio, si lamentano che “tutto è per quelli che erano zapatisti”. Questo, mentre il governatore elargisce elogi ed espressioni di rispetto alle giunte di buon governo ed alle comunità autonome.

In questo contesto, un tribunale del Chiapas questo martedì ha giudicato innocente della sua partecipazione nel massacro di Acteal, l’indigeno Juan Pérez, dopo 13 anni di prigione. La risoluzione si basa su una sentenza della Corte Suprema di Giustizia della Nazione che nel 2009 aveva stabilito che la Procura Generale della Repubblica “falsificò le prove” per incolpare Pérez. Degli oltre 80 paramilitari che scontavano condanne fino a 35 anni per la loro partecipazione al massacro del 1997, ne restano in carcere solo 23 che potrebbero essere presto liberati.

Nello stesso tempo, tra i giornalisti circola un documento che lascia facilmente immaginare chi sia il vero autore. Anonimamente firmato da “membri di organizzazioni sociali di San Sebastián Bachajón, Mitzitón, Tila, Tumbalá, Sabanilla, Chilón, Tonalá, Mapastepec e Pijijiapan” (esattamente le comunità e le zone dove la resistenza si scontra col potere statale ed i suoi piani di investimento), non si specifica mai di che organizzazioni si tratta.

Diffuso sui media locali e scritto in una forma affine agli argomenti dei funzionari della Segreteria di Governo e dei poliziotti statali, i suoi autori dicono di essersi organizzati “da febbraio” in quella che chiamano “l’altra dell’altra civile”, in “risposta alla campagna mediatica dell’Altra Campagna EZLN (sic), che attraverso le sue reti sociali vuole screditarci ed usarci come carne da macello contro il governo e contro la comunità nazionale e internazionale, per i suoi più oscuri ed abietti scopi di terrore e morte”.

Citati nel “pronunciamento”, ma evidentemente non consultati, gli evangelici di Mitzitón (in lotta con gli ejidatarios dell’Altra Campagna per il progetto di un’autostrada privata sulle le loro terre) hanno subito appoggiato il testo alla pagina La Voz de los Mártires.

Secondo lo scritto, gli aderenti all’Altra Campagna “non sono nativi di qui, vengono da altri stati, appoggiati logisticamente da gruppi ribelli, molti di origine straniera, i cui propositi sono volti a creare la divisione tra noi a favore di gruppi guerriglieri e terroristi”. Ed avvertono che “ad ogni attacco” dell’Altra Campagna via Internet,  “ci sarà una risposta”.

Rispetto al conflitto all’entrata delle cascate di Agua Azul (Tumbalá) che attraversa il territorio dell’ejido San Sebastián Bachajón (Chilón), si sostiene senza fondamento che “gli invasori vogliono impadronirsi della zona turistica e del controllo del botteghino di riscossione”. Bisogna dire che il botteghino di riscossione a San Sebastián era stato installato dagli ejidatarios stessi che non vogliono impadronirsene, ma recuperarlo.

Gli autori del testo fanno capire falsamente che sarebbero stati loro ad essere aggrediti e che il botteghino appartiene all’ejido Agua Azul. Si descrivono anche “propensioni al dialogo” col governo, e senza smentirla, rispondono all’accusa di essere paramilitari sostenendo che “L’Altra Campagna e l’EZLN sono un gruppo militare, armato, violento, insorto, terrorista e al servizio degli interessi del crimine organizzato della regione”. Lo scritto si ostenta come ufficiale, perché conclude dicendo: “Aspettiamo la comunicazione, attraverso questo mezzo, della riunione col segretario di Governo, come da risposta dell’ufficio della Presidenza della Repubblica”. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/25/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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los zetas contrainsurgentes

La Jornada – Giovedì 24 marzo 2011

Las Abejas: Los Zetas sono il prodotto della contrainsurgencia in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Commemorando il massacro di Acteal A Chenalhó, Chiapas, la Società Civile Las Abejas questo martedì ha dichiarato: “Tutto il Messico ogni giorno sta vivendo dei massacri. In luoghi come Ciudad Juárez e Sinaloa, si uccidono intere famiglie, si bruciano le loro case, si minacciano i sopravvissuti ed il governo non fa niente, dice che sono i narcotrafficanti. Ma quando uccidono un agente degli Stati Uniti, in una settimana hanno già i presunti responsabili. Quando viene assassinata gente del popolo, quando ammazzano una donna proprio sulla porta del palazzo di governo, quando famiglie intere sono distrutte, il governo non fa niente”.

Ricordando l’offensivo contrainsurgente che subiscono da quattro lustri, gli indigeni sostengono che “tutto questo” ha seguito un piano di contrainsurgencia che i militari messicani “hanno appreso nelle scuole militari degli Stati Uniti, ed ora i loro cani coraggiosi che li hanno addestrati sono usciti dall’Esercito e continuano a massacrare innocenti, ma ora come il gruppo che si chiama Los Zetas”.

Da Acteal, Las Abejas dicono: “Il governo dice che quelli che muoiono sono delinquenti o gente che per caso passava da quelle parti durante le sparatorie, ma noi vediamo che molti sono morti per difendere la vita di fronte ai progetti di morte e distruzione. Vediamo che in Chiapas e in Messico c’è il massacro di gente innocente a favore della pace, ci sono persecuzioni dei leader di molte organizzazioni, carcere per coloro che chiedono giustizia, pace e dignità”.

Con questi fatti, aggiunge l’organizzazione tzotzil, “vediamo che il governo ha paura del popolo e vuole far tacere la sua voce. Uccide chi difende la vita; mentre quelli che ammazzano, quelli che organizzano guerre ed i delinquenti sono liberi o vengono liberati, come agli autori del massacro di Acteal”. Colpevoli di questi fatti e della violazione dei diritti umani sono i governanti “che non sanno amministrare la giustizia”.

Citano come esempio quelli che sono perseguiti “per difendere la vita” dei propri compagni aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón (Chilón), “che subiscono repressione, persecuzione, criminalizzazione delle loro lotte ed arresti ingiusti come conseguenza della difesa della Madre Terra”. Ciò mette in evidenza la strategia contrainsurgente del governo “ed il modo in cui si continui ad agire” per “il dominio sui popoli e sulle comunità in resistenza”.

Las Abejas di Acteal sostengono: “Non scoraggiamoci mai di commemorare i nostri padri e madri e chiedere giustizia per i nostri cari massacrati nel 1997. Non dimentichiamo questo crudele avvenimento compiuto dai paramilitari organizzati dal presidente Ernesto Zedillo, dal governatore Julio César Ruiz Ferro e dal comandante della zona militare, Mario Renán Castillo”. Il loro piano di contrainsurgencia si proietta al presente, ora con Los Zetas.

Nel loro modo caratteristico, Las Abejasi, insistono: “Anche se i governanti considerano quell’anno ormai parte della storia, noi non possiamo dimenticare. Come pacifisti diciamo che ‘la pallottola non uccide, quello che uccide è l’oblio’ ed è fondamentale per noi mantenere viva la memoria”.

Da parte sua, il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, anch’esso dell’Altra Campagna, denuncia: “In queste settimane abbiamo vissuto circondati da governi, funzionari, procuratori, poliziotti, falsi avvocati, servizi di intelligence al punto che il paesaggio non era tale se non erano presenti”. Riconosce che il Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa “ha svolto un ruolo di intermediazione”, e ciò nonostante, i suoi membri sono perseguitati dalla giustizia.

“Non abbiamo nessun impegno col governo, solo domande e richieste. Non abbiamo firmato nessun patto di governabilità, perché la governabilità c’è solo quando esiste giustizia sociale e siamo molto lontano da questa realtà. Vogliamo dire al governo che non ci sarà nessun tavolo di lavoro, dialogo o colloquio, perché non crediamo nelle sue parole piene di bugie, non ci sarà nessuno che parlerà a nome del Consiglio Autonomo, continueremo a mettere per iscritto le istanze delle comunità ed a mobilitarci se queste non saranno soddisfatte”, precisa il Consiglio. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/24/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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serata Chiapas, circolo Pink (Verona)

Mercoledì 23 marzo ore 20, presso il circolo Pink, via Scrimiari 7, Verona
Il collettivo Libera Cafè organizza:

Serata sull’autoproduzione, in Chiapas…come a casa nostra.
Durante la serata verrà presentato la “Coordinadora”, luogo d’incontro libertario di individualità e di gruppi autonomi con un radicamento
territoriale locale che presentano le proprie esperienze di autogestione e di solidarietà in Italia e all’estero.
Presenterà la serata un membro dei Malfattori, progetto bassanese di comunità libertaria basata sull’autoproduzione.

Libera Cafè
www.autistici.org/liberaa
Aranea http://www.autistici.org/aranea/wordpress/
Coordinadora http://coordinadora.noblogs.org/

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INIZIATIVE DI INFORMAZIONE SULLE LOTTE CONTRO I CIE A MESTRE E PADOVA

Martedì 22 marzo, Mestre

presso la sala del consiglio di quartiere in via Sernaglia 43 a Mestre

Presentazione di “ABCie”, glossario-dossier sulle lotte contro i cie e la storia di Joy, ragazza nigeriana che ha denunciato le violenze contro le donne all’interno di queste strutture.

A cura di Noinonsiamocomplici-Donne contro i cie

Mercoledì 23 marzo, Padova

Ore 17,00 in aula L1 del dipartimento di Chimica in via Marzolo

Presentazione a cura di noinonsiamocomplici del glossario-dossier ABCie.

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COMUNICATO USI-AIT

UNIONE SINDACALE ITALIANA (USI-AIT)
Segreteria nazionale
Via Bologna, 28r – 16127 Genova
tel. 3312880416 – e-mail: segreteria.nazionale@usi-ait.org

TEMPI DI GUERRA
E’ ormai un fatto concreto l’intervento militare in Libia. E’ iniziata Odissey Dawn, l’ennesima missione bellica delle
potenze occidentali, tesa a salvaguardare interessi economici ed equilibri geopolitici, che si ritengono messi a
repentaglio da instabilità, tensioni locali o ambizioni di leader e dittatori.
E’ un elenco ormai lungo che nel suo dipanarsi rivela la trama di uno stato di guerra permanente. Negli anni cambiano
gli scacchieri: da quello balcanico (Bosnia e Kosovo) a quello mediorientale (Iraq) a quello asiatico (Afghanistan) a
quello odierno maghrebino; cambiano i nomi delle operazioni militari: da operazioni di polizia internazionale a task force
contro il terrorismo, a dispiegamento di forze di interposizione e di dissuasione, ai più rassicuranti missione di pace e
missione umanitaria; non cambiano i mezzi: bombardamenti aerei e missili, non cambia soprattutto la sostanza: di vere
guerre si tratta.
Fin da subito è apparso evidente che la rivolta libica, pur figlia delle insorgenze popolari che hanno scosso e stanno
scuotendo molti paesi dell’area maghrebina e mediorientale (dalla Tunisia, all’Algeria, al Marocco, all’Egitto, allo Yemen
e al Bahrein) presentava caratteri specifici di scontro per il potere tra fazioni rivali, radicate territorialmente e su base
tribale (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan). Come è apparso chiaro che i diversi ruoli della Libia nello scacchiere
mediterraneo (grande produttore di petrolio e gas, partner economico rilevante dell’occidente, gendarme dell’area,
controllore dei processi migratori) avrebbero reso la crisi del regime di Gheddafi, crisi internazionale di vaste proporzioni.
Ciò sta puntualmente accadendo con i bombardamenti di Tripoli.
E’ iniziata una guerra, una guerra vera, sporca e infame come tutte le guerre, che non ha nessuno degli obiettivi che
dichiara, né la caduta di Gheddafi, né l’instaurazione della “democrazia”, né la protezione della popolazione civile. Una
guerra i cui scopi sono ben chiari: ricolonizzare, balcanizzandolo, un paese importantissimo per le sue risorse
energetiche e la sua collocazione strategica e geopolitica, ma anche e soprattutto per perpetuare uno stato di
belligeranza permanente mondiale che ricopra come un sudario le vere emergenze (la fame e la miseria, le devastazioni
e le catastrofi ambientali e nucleari, gli esodi di massa dei disperati del mondo, la supremazia incontrastata del profitto
sui bisogni e le necessità) e che consenta di reprimere, anche preventivamente, lotte, insorgenze, rivolte.
Una guerra, infine, a cui l’Italia parteciperà canagliescamente e ipocritamente come suo solito, senza neppure il
coraggio di assumersene le responsabilità; destra e sinistra unite nella retorica patriottarda dietro le indecenti parole di
Napolitano, per intorbidare e offuscare le coscienze. Una guerra della quale il nostro “bel paese” raccoglierà, come un
avvoltoio, le briciole.
Noi siamo contro questa guerra, come siamo e saremo contro tutte le guerre capitaliste e imperialiste. Riconosciamo un
solo fronte, quello della guerra sociale contro i padroni e i loro servi. Un fronte che accomuna, storicamente e
necessariamente, tutti gli sfruttati di qualunque nazionalità, etnia, lingua e cultura e li contrappone inconciliabilmente alla
barbarie capitalista. Un fronte che per contrastare la portata degli avvenimenti non può essere di semplice difesa dei
brandelli di pace o di vivibilità dell’esistente, ma di concreta alternativa alla miseria e alla barbarie che ci circondano e
nelle quali ci vogliono sempre più sprofondare. Non possono bastare le sfilate multicolori per la pace, bisogna agire e
cominciare a costruire una società diversa.
CONTRO LE GUERRE DEL CAPITALE, GUERRA SOCIALE PER UN
MONDO DIVERSO, SENZA STATI, NE’ ESERCITI, NE’ PADRONI
Segreteria nazionale USI-AIT
Segreteria Nazionale: Via Bologna, 28r – 16127 Genova – tel. 3312880416
sito: http://www.usi-ait.org ; e-mail: segreteria.nazionale@usi-ait.org
Lotta di Classe (organo di stampa dell’USI) Via Bologna, 28r – 16127 Genova – tel. 3312880416
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lettera di Marcos

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Marzo 2011

Alla 41 Assemblea Nazionale della Rete Nazionale di Organizzazioni Civili “Todos los Derechos para Todas y Todos

Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Signore e signori.

Vi mandiamo i nostri saluti. Prima di tutto vogliamo ringraziare il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas AC. per l’invito che ci hanno fatto di mandare un messaggio amico alla vostra Assemblea Nazionale.

Ho il privilegio di conoscere personalmente qualcun@ di voi, ma conosciamo la maggioranza in un modo gratificante, cioè, per l loro lavoro.

Per questo, permettetemi di usare un tono colloquiale per questo messaggio-saluto. Se non me lo permettete, basta saltare tutto quello che segue e dire solo “l’EZLN manda un saluto”. In ogni caso, ci sono sentimenti che non hanno ancora un alfabeto che permetta di esprimerli.

Se state leggendo già queste righe, significa che mi avete concesso la forma colloquiale, ergo, procedo.

_*_

Sono sicuro che la maggior parte di voi, se non tutti, sapranno ascoltare in queste righe non i pensieri del SupMarcos, bensì quelli degli uomini, donne, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Nello stesso modo in cui noi, zapatiste e zapatisti, abbiamo saputo vedere nelle azioni di Don Samuel non solo quelle di un individuo, ma quelle di una collettività.

Ma oggi ricordiamo che, è vero, ora manca un viandante, ma la strada è lì. E sappiamo che chi la percorre collettivamente, riuscirà a trasformare il dolore in bandiera e deciderà di non dimenticare, e nemmeno di fermarsi.

Noi pensiamo che sia così perché, come nella storia di quest’assenza fisica, la sua strada ed il suo passo è la sua collaborazione, la sua ragion d’essere, la sua vita.

So che qualche idiota (solo maschi, bisogna ammetterlo) ha approfittato della scomparsa di Don Samuel per mettere l’EZLN contro la diocesi, e Don Samuel contro il SubMarcos rispetto a quello che accadde in queste terre quel Primo Gennaio 1994, per qualcuno ora dimenticato (non sono pochi quelli che, considerando i contributi democratici e sociali, saltano dal 1998 al 2006), o per vedere chi ha fatto o fa di più per i popoli originari del Chiapas e del Messico.

Con argomenti del tipo il “mio papa è più bravo”, o ostentando la potenza maschilista del “vediamo chi ce l’ha più grande” o “vediamo chi arriva più lontano” o “vediamo chi fa più schiuma”, questi personaggi hanno voluto infangare la significativa assenza di Don Samuel.

C’è stato chi ha partecipato a questo gioco per bambini idioti o per politici (che sono la stessa cosa). E così hanno rivisto la storia per coprire la loro ignoranza, o per manipolare i nostri coscienti e premeditati silenzi. Arriverà il momento in cui la nostra parola raggiungerà quegli angoli oscuri, che sono stati occupati da chi vuole vincere questa contesa senza senso.

Noi no. Noi zapatisti non contendiamo un credito che in realtà appartiene a chi da 500 anni vuole uscire da un incubo che cambia regime politico o partito al potere, ma che continua ad imporre la sua dose di sfruttamento, abuso, repressione, disprezzo.

Neppure aspiriamo o aneliamo ad una nota a piè di pagina nel pesante libro della storia contemporanea di questo angolo del mondo.

L’unico credito che ci riconosciamo è quello dei nostri errori e mancanze che, è vero, non sono pochi né lievi, ma non comprendono l’incoerenza in nessuno dei suoi ipocriti aspetti.

Chi ha fatto o fa di più per le comunità indigene di questo angolo del Messico?

Per quanto riguarda l’EZLN, noi rispondiamo che abbiamo fatto poco o niente. Invece, aggiungiamo umilmente che è molto, è tutto, quello che i popoli indios del Chiapas e del Messico hanno fatto per noi. Niente meno che darci identità, strada, direzione, destino, ragion d’essere.

E non solo a noi. Anche a molti distanti e distinti nei calendari e nelle geografie del Messico e del mondo.

Il posto che Don Samuel ha avuto ed ha tra le comunità indigene è quello che si è guadagnato nel suo cammino. Non solo lì, certo, ma ora parlo solo di quello che ho conosciuto di prima mano. E questo non dipende dalle qualità banali che, nei funesti giorni della sua scomparsa fisica, hanno condito gli interventi, articoli ed interviste di chi copre con le chiacchiere la sua mediocrità ed opportunismo.

_*_

Uno dei meriti di Don Samuel, gli dissi una volta, è che potendo scegliere se essere Onésimo Cepeda, scelse di essere Don Samuel Ruiz García.

Proprio come tutte e tutti voi potevate scegliere di essere un’altra cosa rispetto a cosa siete ora, tuttavia avete scelto di essere, nei vostri rispettivi calendari e geografie, difensori promotori dei diritti fondamentali dell’essere umano.

E scegliendo questa identità, nello stesso tempo comune e differente (comune nel suo spirito, differente nella sua storia, luogo e tempo), non avete scelto la strada più facile, la più comoda, quella con più privilegi e maggiori compensi, ma una delle più difficili, scomode, ingrate.

Perché, chi difende i diritti umani delle/dei difensori dei diritti umani?

Infine, voi potevate scegliere, per fare un esempio, se essere Diego Fernández de Cevallos (chiedo scusa per le parolacce) e trasformare la gestione perversa delle leggi in una fonte di ricchezza e potere.

O potevate scegliere di lavorare agli ordini di chi viola i diritti umani, cioè, con governi statali o federali, e nascondervi dietro il fragile alibi del “cambiare le cose dall’interno” o “attenuare le arbitrarietà dei governanti”.

Ma voi, meglio di nessun altro conoscete le mille e una forma, alibi, pretesti e giustificazioni per fare o per smettere di essere quello che ora siete (e che è quello che motiva questa Assemblea ed il nostro saluto), cioè, la vostra identità.

In sintesi: voi potevate scegliere di essere altre, di essere altri, tuttavia avete scelto di essere quello che ora vi convoca e vi riunisce

Ognuno ha la sua storia privata e personale di come è nata questa decisione, questo cammino, ed il fatto fondamentale, l’essere ora ostinati viandanti per un mondo migliore, non dipende da regali, articoli sui media, aneddoti in dibattiti o incontri, o capacità di stimare il valore umano in centimetri.

Ed il riconoscimento di questa decisione non viene solo da chi vi persegue, vi minaccia, vi calunnia, vi colpisce, vi imprigiona, vi assassina o cerca di convincervi ad arrendersi, a cedere, a vendersi. Cioè, non viene solo dai molti governi di diverso colore.

Il riconoscimento per quello che avete scelto di essere, può venire anche da chi non ha i diritti elementari o li vede calpestati da chi ha la forza perché non ha la ragione. Da chi ha trovato nei vostri progetti, nei vostri passi, l’accompagnamento nella domanda del diritto fondamentale. Il diritto di avere tutti i diritti e di esercitarli.

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A noi zapatisti hanno sempre suscitato ammirazione e rispetto le persone che, potendo scegliere di stare sopra, scelgono di stare sotto e con quelli che stanno sotto.

Notare che non sto parlando di filiazione politica o di credo ideologico, ma di una posizione, di qualche chiara e semplice risposta alle domande “dove?”, “con chi?”, “di fronte a chi?”

E notare anche che, messe così, queste domande mettono in ridicolo le domande “chi è il migliore?”, “chi fa di più?”, “chi vince?”

Forse per qualcuno di lì la cosa importante saranno le risposte alle domande competitive. Non lo mettiamo in discussione. Ognuno fa uso del suo tempo secondo le sue possibilità… ed amicizie.

Quello che voglio dire è che sono le vostre domande alle domande che danno identità, quelle che si riconoscono qua in basso. Dove, in basso, con chi, con chi lotta, contro chi, contro chi opprime.

Questo riconoscimento che viene dal basso nessuno lo può contendere, né aspetta la certificazione di chicchessia delle geografie politiche, da un estremo all’altro.

Ed a volte questo riconoscimento prende la forma di un saluto, come in questo caso in cui, attraverso le mie lettere, le comunità indigene zapatiste vi mandano un abbraccio col pretesto di questa Quarantesima Assemblea Nazionale.

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Quarantuno assemblee sono molte, è vero, ma sembra che quella di quest’anno si svolga in tempi particolarmente delicati.

Delicati per la violenza diffusa su tutto il territorio nazionale, e delicati per la violazione/negazione dei diritti umani che è la conseguenza di quella violenza esercitata fondamentalmente dallo stato.

Difficilmente si potrà trovare un altro calendario in cui la violazione e negazione dei diritti umani abbraccia tutta la geografia nazionale… e dove la difesa di questi diritti sia tanto pericolosa.

Perché gli attentati ai diritti fondamentali (vita, libertà, beni, verità) ora vengono subito non solo dai settori sociali cosiddetti “vulnerabili”.

La violenza dilagante, col governo federale guidato dalla macabra brigata, non solo si estende su tutto il territorio nazionale e distrugge tutti gli ambiti della vita quotidiana. Ora  “democratizza” il suo arbitrio facendo vittime in tutti gli strati sociali.

Un oltraggio così nazionale e così attuale dovrebbe provocare una reazione di uguale estensione in identico tempismo, ma si vede che il calendario tracciato dall’alto, quello elettorale, impone altre priorità.

Anche per questo questi tempi delicati. Perché lassù vogliono prendere posizione nella falsa alternativa elettorale. Non c’è bisogno che mi dilunghi nei pericoli che, per la strada che avete intrapreso, rappresentano questi appelli all’emergenza.

Chi lavorano sul serio nella difesa dei diritti umani sa bene che i diversi simboli politici al potere si contendono con entusiasmo solo la sistematica violazione dei diritti fondamentali.

Noi confidiamo in coloro che hanno saputo ascoltare e guardare, e di conseguenza, hanno cercato di comprendere.

Perché così come per noi il loro impegno è fuor di dubbio, così lo è anche la loro intelligenza e la loro capacità di analisi.

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Bene, non voglio disturbare oltre. Ho visto l’agenda preliminare della vostra Assemblea e so che avete molto da fare… e solo un pranzo in 3 giorni (cosa che chiaramente è una violazione al diritto di fare pausa).

Con l’abbraccio che vi mandiamo, va anche il nostro augurio di una buona assemblea.

Come tutte le decisioni che realmente sono importanti e che fanno la differenza, quelle che voi prenderete in questi giorni non avranno eco né conseguenze immediate, ma saranno fondamentali per la geografia ed il calendario che sceglierà la vostra identità.

Perché chi cammina sa che ogni passo conta, benché il percorso si renderà visibile solo giunti a destinazione.


Salve e che, senza che importino rischi e maldicenze, si mantenga la vostra identità.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Marzo 2011

P.S. – Mi dispiace che la mia firma, e la data che scrivo in calce, contraddica le dicerie apparse su twitter, notizie e comunicati governativi sul mio stato di salute. Benché, bisogna dirlo, la cosa dell’enfisema polmonare e del cancro abbia provocato che non mi mandano più tabacco, questa è un chiara manovra contrainsurgente. Quindi è ufficiale. Non ho quello che dicono che ho… o non ancora. Dunque non temete e mandate tabacco, ed avrò cura di coprire la scritta che recita. “Fumare è causa di cancro ed enfisema polmonare. Fumare in gravidanza aumenta il rischio di parto prematuro e di neonato sotto peso (ovvero non potrò più dire “fat is beatifull”?) ed altri rischi riproduttivi” (cioè, non potrò vincere al concorso di “vediamo chi ce l’ha più grande”? bah, io ero già in fondo alla lista). In ogni caso, mandate tabacco.

Ora sì. Vale de nuez.

Dalle montagne… cof…cof…cof…arghhh…cof…cof…puah!…

Oh,oh… cos’è questo, un pezzo di polmone o di zucca non digerita?

Il Sup, che alimenta i pettegolezzi.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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ancora violenza…

#messagebody div.rcmBody table.MsoNormalTable { font-size: 10pt; font-family: “Times New Roman”; }La Jornada – Lunedì 21 marzo 2011

L’ondata di violenza colpisce i difensori dei diritti umani nel sudest del Paese

Attivisti di Chiapas, Tabasco e Yucatán operano in condizioni estremamente ostili

Le aggressioni alle donne nella zona sono sempre più simili a quelle di Ciudad Juaréz

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 marzo. La violenza generalizzata nel paese e l’impunità diffusa acutizzano il contesto di repressione, povertà, criminalizzazione, emigrazione, esproprio territoriale ed attacchicontro chi promuove, difende ed esercita i diritti per tutti, ha dichiarato oggi la Rete Nazionale di Organismi Civili ‘Tutti i Diritti per Tutte e Tutti’, con enfasi particolare nel sudest del Messico.

A conclusione della 41a Assemblea Nazionale, i difensori si sono pronunciati sulle ostili condizioni in cui lavorano i loro colleghi in Chiapas, Tabasco e Yucatan, in una regione del paese dove le violazioni dei diritti non sono minori.

L’estesa Rete, alla quale appartengono 72 organizzazioni, constata che l’esproprio territoriale è pratica ricorrente di governi ed impresari contro chi difende le risorse naturali e si rifiuta di cedere i propri territori per gli investimenti privati (sfruttamento delle miniere, progetti turistici e stradali), perché hanno deciso di praticare l’autonomia esercitando in pienezza i loro diritti fondamentali.

Mentre questa mattina si svolgeva un nutrito corteo nel viale Juan Sabines di questa città contro il progetto governativo di trasformare i campi sportivi in grandi centri commerciali con il pretesto di creare posti di lavoro (benché non vengano accompagnati da diritti del lavoro), la Rete ha denunciato che la cancellazione degli spazi pubblici e sportivi è un’azione di governi municipali e statali che favoriscono gli interessi economici e commerciali delle imprese, e provocano la distruzione dell’ambiente.

La crescente militarizzazione, l’occupazione poliziesca e la paramilitarizzazione di comunità e città del sudest, giustificata da una presunta lotta contro la criminalità organizzata, vuole smobilitare e controllare le dinamiche dei popoli che si organizzano. Tra gli aggiustamenti strutturali si strumentalizzano i poteri Legislativo e Giudiziario per legalizzare la criminalizzazione dell’azione sociale, in particolare contro gli avvocati difensori.

La violenza sulle donne, aggiunge la Rete nella sua dichiarazione finale, è arrivato a livelli simili agli stati del nord, al punto da incoraggiare la violenza contro le donne come parte di una strategia che vuole frammentare il tessuto sociale. Inoltre, la migrazione che transita sui nostri territori non è più solo dei popoli dell’America Centrale; è delle comunità e città impoverite del sudest.

Denuncia inoltre che un forte investimento a livello mediatico presenta i governi statali “come ‘avanguardia’ nel compimento degli standard dei diritti umani”, quando in realtà è nulla la loro applicazione a causa della corruzione strutturale.

La difesa delle garanzie si traduce in azioni di denuncia, formazione, processi, azioni politiche, incidenza pubblica, accompagnamento sociale, solidarietà ed articolazione permanente; l’abbiamo imparato da chi tiene viva la memoria delle lotte e delle resistenze che i nostri popoli portano avanti giorno per giorno.

La Rete riafferma il suo impegno di proseguire vigile ed attiva di fronte alla crescente violazione dei diritti umani che la guerra ufficiale sta generalizzando contro la popolazione civile. A dispetto del crescente rischio per la loro vita ed integrità fisica, riconosciamo nei compagni avvocati difensori in Chiapas, Tabasco e Yucatan un impegno permanente nella difesa della dignità umana.

In maniera particolare trovandosi in Chiapas, i difensori hanno annunciato che seguiranno attenti i loro compagni dei centri dei diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas, dei Diritti Indigeni e Fray Matías de Córdova, il collettivo Educazione alla Pace e ai Diritti Umani, i comitati Fray Pedro Lorenzo de La Nada e Por la Defensa y Libertad Indígena, e Iniciativas para la Identidad y la Inclusión, che svolgono il loro compito in un contesto in cui le azioni di contrainsurgencia sono studiate ed attuate dallo Stato. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/21/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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invasione in scuola di una comunità tzeltal

La Jornada – Mercoledì 16 Marzo 2011

Invasione di un complesso scolastico in una comunità tzeltal chiapaneca

Hermann Bellinghausen

La comunità tzeltal di Guaquitepec, nel municipio di Chilón, Chiapas, è nota da 15 anni per accogliere un progetto educativo innovativo, un riferimento obbligato per le zone indigene dello stato. Ora è lo scenario della riapparizione dei vecchi cacicchi, si presume appoggiati dal governo statale come ai vecchi tempi, con il sostegno e la consulenza dell’ex deputato perredista Carlos Bertoni Unda, legato all’organizzazione Oruga, con sede ad Ocosingo, già denunciata come strumento di contrainsurgencia economica contro la resistenza indigena.

Lo scorso 17 gennaio, il plesso scolastico della secondaria interculturale Emiliano Zapata Salazar è stato invaso da milizie clientelari dell’ex deputato Bertoni, che nel 2009 è stato in carcere per frode ed oggi prepara il terreno per la prossima tornata elettorale. La proprietà invasa, ed ora distrutta, è dove si svolgono le attività comunitarie educative, artistiche e culturali dalla secondaria.

Le autorità della comunità e degli ejidos vicini, e lo stesso direttore della scuola, Mariano Méndez López, denunciano che l’amministrazione statale, “per mezzo della segretaria Generale di Governo, è intervenuta nel problema senza dare soluzione all’invasione, ed il gruppo invasore ha approfittato per rubare e distruggere il patrimonio educativo del progetto, senza che si applichi la giustizia per questi atti criminali”.

Denunciano direttamente la sottosegretaria di Governo, Ana del Carmen Valdivieso Hidalgo, con ufficio a Yajalón, ed il titolare di Governo, Noé Castañón León, “che si erano presentati come coadiuvanti nella soluzione del conflitto, ma non hanno agito realmente”. Gli indigeni da gennaio avevano informato Castañón, ed il 28 di quel mese erano stati ricevuti a Tuxtla Gutiérrez dall’assessore giuridico dell’ente, che avrebbe parlato anche con gli invasori promettendo loro 15 ettari di terra da un’altra parte. L’unica cosa certa è che “i cacicchi che guidano l’invasione stanno costruendo delle case nell’appezzamento scolastico”.

Bisogna dire che non è un centro scolastico qualunque. Fa parte di un progetto interculturale bilingue riconosciuto a livello internazionale, appoggiato dal Patronato Pro Educazione Messicana e con la partecipazione di pedagoghi nazionali di primo livello. L’esperienza, modello per i popoli indigeni dell’area è, insieme al sistema educativo zapatista, una delle alternative di istruzione più avanzate e di successo in regioni dove l’educazione ufficiale è molto carente.

“I cacicchi hanno sempre ostacolato lo sviluppo”, sostengono maestri, comuneros ed ejidatarios. “Il loro metodo è armare il gruppo per reprimere e minacciare”. Nonostante le reiterate denunce, le autorità statali e municipali hanno permesso i loro abusi.

Gli indigeni descrivono il dirigente Bertoni Unda come “un destabilizzatore sociale, che è già stato in prigione per quelle attività che perseguono il lucro” ed ora funge da “consulente” dei cacicchi filogovernativi. Riferiscono che il 20 febbraio è stato festeggiato dagli invasori: “Com’è possibile che qualcuno che si dice servitore del popolo fa di tutto per provocare divisione e scontri tra fratelli”. Dicono di ignorare gli “interessi” di Bertoni a Guaquitepec, “ma siamo convinti che non sono per il bene delle comunità, ma per approfittarsi di loro”.

Appoggiano la denuncia l’Organizzazione Sociale Indigena Yip Lumaltik, la Fondazione Colosio regionale, le autorità di Maquejá, San Vicente, Pinabetal e San Antonio Bulujib, i Principales di Guaquitepec, così come le basi zapatiste e il direttore del liceo Bartolomé de las Casas. Si dichiarano a favore di “equità, uguaglianza, giustizia, dignità ed una vera democrazia” per vivere liberamente. “Si stanno violando i nostri diritti all’educazione, allo sviluppo come popoli indigeni e a vivere in pace ed armonia”, concludono. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/16/index.php?section=politica&article=025n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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per la liberazione dei prigionieri politici

La Jornada – Lunedì 14 marzo 2011

Proseguono le proteste in 12 Nazioni per la liberazione degli indigeni dell’Altra Campagna

Le azioni a New York, Londra, Parigi, Berlino, Buenos Aires, ed in altre città

Hermann Bellinghausen

Sono proseguite questa domenica le azioni pubbliche per chiedere la liberazione degli indigeni dell’Altra Campagna che si trovano in carcere in Chiapas, in particolare dei cinque coloni di San Sebastián Bachajón reclusi nelle prigioni di Catazajá e Berriozabal. Da lunedì 7 scorso si sono svolti meeting, mostre ed azioni di protesta davanti a consolati ed ambasciate messicane, o in piazze pubbliche in una dozzina di paesi.

A Città del Messico, New York, Londra, Edimburgo, Parigi, Berlino, Barcellona e Buenos Aires si sono visti striscioni con scritto “assassini” e “repressori” ai governi federale e chiapaneco, e si sostegno ai diritti alla terra ed al territorio delle comunità indigene zapatiste e dell’Altra Campagna. Ci sono state proteste anche in Sudafrica, Puerto Rico, Austria, Marocco, Filippine e Colombia.

Collettivi, organizzazioni ed aderenti all’Altra Campagna, membri della Rete Contro la Repressione e per la Solidarietà, hanno tenuto oggi una manifestazione sul piazzale del palazzo delle Belle Arti, come parte delle azioni per la liberazione dei cinque tzeltales di San Sebastián, così come del maestro Alberto Patishtán Gómez (tzotzil in prigione a San Cristóbal de las Casas) e Máximo Mojica Delgado (a Tecpan di Galeana, Guerrero).

Nello stesso tempo, attivisti dell’Altra Campagna in Messico chiedono al governo di Oaxaca la liberazione di Álvaro Sebastián Ramírez, “prigioniero politico e di coscienza”. Tutti loro sono aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

I collettivi della Rete sostengono che gli ejidatarios di San Sebastián “difendono il loro territorio che vogliono togliere loro perché è molto bello”, per progetti presuntamente turistici alle cascate di Agua Azul, “ma in realtà sono a beneficio degli interessi di quelli che stanno in alto e delle multinazionali”. Per questo, come i contadini choles dell’ejido di Tila, “gli vogliono togliere le terre”.

Ricordano i fatti che hanno scatenato la repressione a San Sebastián: “Coltivavano la terra e gestivano l’accesso al sito con un botteghino ed il 2 febbraio sono stati aggrediti da priisti e paramilitari, appoggiati dalle autorità municipali di Chilón. Negli scontri è morto uno degli aggressori, vittima delle armi della sua stessa gente”. Il giorno 3, quando gli ejidatarios erano in riunione “per concordare la risposta da dare al governo statale sull’offerta di iniziare un tavolo di dialogo, sono stati attaccati a tradimento da centinaia di poliziotti statali, federali e da elementi dell’Esercito”.

Furono fermati 117 ejidatarios. 107 furono presto rilasciati e gli altri restarono in carcere con  gravi accuse come omicidio aggravato. Successivamente, “grazie alle azioni in Messico ed in altri paesi”, dice la Rete, ne sono stati rilasciati cinque. Sono ancora in prigione Mariano Demeza Silvano, Domingo Pérez Álvaro, Domingo García Gómez, Juan Aguilar Guzmán e Jerónimo Guzmán Méndez.

Rispetto ai maestri Patishtán e Mojica, L’Altra Campagna inizierà attività su scala nazionale, soprattutto nelle scuole inferiori, medie e superiori, contro la loro “detenzione arbitraria ed ingiustificata” da anni.

 

Condannato per reati mai commessi

 

I collettivi vogliono “richiamare l’attenzione su un problema che sta diventando angoscioso: la continua repressione contro la società civile da parte di polizia, militari e paramilitari”.

Questo appello si rivolge ai lavoratori della scuola, genitori, piccoli commercianti, operai, contadini. “I nostri compagni devono stare in classe ad insegnare e non in prigione”.

Un altro caso è la domanda di appello per Álvaro Sebastián Ramírez, di Loxicha, condannato a 29 anni per gravi reati che non ha mai commesso. È da 13 anni in carcere, ora nel penitenziario di Santa María Ixcotel (Oaxaca).

In un’analisi sul caso, l’ex prigioniero politico Jacobo Silva Nogales ha spiegato in dettaglio e con fondamento giuridico perché Ramírez non è responsabile dei reati a lui imputato. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/14/index.php?section=politica&article=021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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