espulso dal mexico giornalista italiano

Espulso dal Messico il giornalista Gianni Proiettis

di Fabrizio Lorusso
gianni.jpgPuerto Escondido, Messico. Ci avevano già provato esattamente quattro mesi fa e ora ci sono riusciti. Il giornalista italiano residente nella città meridionale di San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, è stato espulso ed è stato costretto a partire per Roma con un volo da Città del Messico alle 7 pm del 15 aprile. In base all’articolo 33 della Costituzione messicana il governo, attraverso gli uffici decentrati e i funzionari dell’Istituto Nazionale della Migrazione (INM), ha la facoltà di deportare a suo piacimento (la chiamano “discrezionalità”) le persone indesiderate.
E’ una norma che fu pensata all’epoca in cui gli stranieri intervenivano pesantemente nella politica nazionale e in più occasioni (vedi invasioni statunitensi e francesi in Messico) minacciarono concretamente la sovranità e l’indipendenza del paese. Da molti anni ormai viene utilizzato come spauracchio contro i giornalisti, gli attivisti e gli stranieri in generale anche se a volte purtroppo la minaccia si concretizza più facilmente e rapidamente di quanto ci si possa immaginare.
Ieri Giovanni Proiettis, Gianni per gli amici, si è recato agli uffici della Migrazione per rinnovare il suo permesso di soggiorno (FM=Forma Migratoria) così come ha fatto negli ultimi sedici anni in cui ha risieduto legalmente in Messico svolgendo le sue attività di professore universitario, giornalista e cooperante in progetti di sviluppo comunitario in Chiapas, una delle regioni più povere e sfruttate del paese. Non è più uscito da quegli uffici se non per essere deportato nella capitale della regione, Tuxtla Gutiérrez, e poi a Città del Messico qualche ora dopo. Come sempre in questi casi sono molte le violazioni ai diritti dell’uomo perpetrate dai vari funzionari, armati e non, che intervengono nel processo di deportazione fast track. Gianni Proiettis non ha avuto la possibilità di comunicare con parenti, amici e nemmeno con l’ambasciata, ha subito vessazioni e trattamento “inumano e degradante” durante una detenzione illegale ed è stato poi rinchiuso in una cella nella zona periferica di Iztapalapa.
Nonostante un giudice di Tuxtla avesse emesso un’ordinanza (scaricabile qui) che impediva l’espulsione del giornalista e criticava le modalità in cui è stato applicato e interpretato l’articolo 33 costituzionale, non c’è stato nulla da fare perché il documento è arrivato in ritardo alle autorità che in aeroporto avevano già imbarcato Proiettis. Sua moglie ha dichiarato ai giornalisti di NarcoNews che non c’era stato nulla di anomalo negli ultimi 4 mesi, nessun segnale che preannunciasse questa decisione arbitraria e ingiustificata come sostiene anche lo stesso atto giudiziario emesso a Tuxtla in difesa dell’italiano. Già il dicembre scorso Proiettis era stato oggetto di un tentativo d’espulsione – inizialmente si disse che fu a causa della sua partecipazione al summit sul cambio climatico di Cancun – che fu sventato anche grazie alla pronta reazione della stampa e all’intervento dei media indipendenti in difesa della libertà di pensiero ed espressione.
Da anni le attività del giornalista italiano, impegnato in un progetto di eco-turismo nella cittadina di Venustiano Carranza, non sono gradite all’autorità e al governatore del PRD (Partido Revolución Democrática), Juán Sabines. Stesso discorso per i suoi articoli di denuncia sull’operato delle imprese multinazionali minerarie nella regione: in particolare, un’intervista del 23 gennaio 2010 con il padre del leader sindacale Mariano Abarca, assassinato nel novembre 2009, risultò particolarmente scomoda per la compagnia mineraria canadese Blackfire Exploration Ltd e i funzionari statali che ne difendono gli affari.
A dicembre il governo del Chiapas e l’INM dovettero ripiegare in modo rocambolesco e, dopo aver cambiato più volte i capi d’imputazione contro Proiettis, arrivando perfino a inventare accuse per spaccio di droga, porsero ufficialmente le proprie scuse per quanto era accaduto. Evidentemente si trattava di un bluff e di una tregua momentanea in attesa di una nuova rappresaglia che è arrivata puntuale allo scoccare del quarto mese. Altri dettagli interessanti sul caso dalla rivista Proceso QUI.
http://www.carmillaonline.com/archives/2011/04/003870.html

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seconda lettera di Marcos a Luis Villoro

Alla pagina  http://chiapasbg.wordpress.com  la versione in .pdf in italiano e spagnolo.

DELLA RIFLESSIONE CRITICA, INDIVIDUI E COLLETTIVI

(Seconda Lettera a Luis Villoro nell’Interscambio Epistolare su Etica e Politica)

 

Aprile 2011

“Se in cielo c’è unanimità, riservatemi un posto all’inferno”

(SupMarcos. Istruzioni per la mia morte II)

 

I. – LA PROSA DEL TESCHIO

 

Don Luis:

Salute e saluti maestro. Speriamo veramente che stia meglio di salute e che la parola sia come quei rimedi casalinghi che alleviano anche se nessuno sa come.

Mentre inizio queste righe, il dolore e la rabbia di Javier Sicilia (lontano per distanza ma da sempre vicino per ideali), si fanno eco che riverbera tra le nostre montagne. C’è d’aspettarsi e dà speranza che la sua leggendaria tenacia, così come ora convoca la nostra parola e azione, riesca a radunare le rabbie e i dolori che si moltiplicano sui suoli messicani.

Di don Javier Sicilia ricordiamo le critiche irriducibili ma fraterne al sistema di educazione autonoma nelle comunità indigene zapatiste e la sua ostinazione nel ricordare periodicamente, alla fine della sua colonna settimanale sulla rivista messicana PROCESO, la pendenza del compimento degli Accordi di San Andrés.

La tragedia collettiva di una guerra insensata, concretata nella tragedia privata che l’ha colpito, ha messo don Javier in una situazione difficile e delicata. Molti sono i dolori che aspettano di trovare eco e volume nel suo reclamo di giustizia, e non sono poche le inquietudini che aspettano che la sua voce accorpi, che non guidi, le ignorate voci di indignazione.

E succede anche che intorno alla sua figura ingigantita dal dignitoso dolore, volino gli avvoltoi mortiferi della politica dell’alto, per i quali una morte vale solo se aggiunge o toglie nei loro progetti individuali e di gruppuscoli, benché si nascondano dietro la rappresentatività.

Si scopre un nuovo assassinio? Allora bisogna vedere come questo impatta la puerile contabilità elettorale. Là in alto interessano le morti se possono incidere sull’agenda elettorale. Se non si possono capitalizzare nei sondaggi e nelle tendenze di voto, allora tornano nel lugubre conto dove le morti non interessano più, anche se sono decine di migliaia, perché tornano ad essere una questione individuale.

Nel momento di scriverle queste parole, ignoro i passaggi di questo dolore che convoca. Ma il suo reclamo di giustizia, e tutti quelli che si sintetizzano in questo reclamo, meritano il nostro rispetto e sostegno, anche se con il nostro essere piccoli ed i nostri grandi limiti.

Nell’andirivieni delle notizie su quell’evento, si ricorda che don Javier Sicilia è un poeta. Forse per questo la sua persistente dignità.

Nel suo stile molto particolare di guardare e spiegare il mondo, il Vecchio Antonio, quell’indigeno che è stato maestro e guida per tutti noi, diceva che c’erano persone capaci di vedere realtà che ancora non esistevano e che, siccome non esistevano nemmeno le parole per descrivere quelle realtà, allora dovevano lavorare con le parole esistenti e sistemarle in un modo strano, in parte canto e in parte profezia.

Il Vecchio Antonio parlava della poesia e di chi la fa. (Io aggiungerei di chi la traduce, perché anche le traduttrici e i traduttori della poesia che parla lingue lontane devono essere molto creatrici e creatori di poesia).

I poeti, le poetesse, vedono più lontano o vedono in altro modo? Non lo so, ma cercando qualcosa che, dal passato, parlasse del presente che ci fa male e del futuro incerto, ho trovato questo scritto di José Emilio Pacheco, che tempo fa mi mandò un mio fratello maggiore e che viene a proposito perché nessuno capisca:

 

Prosa del Teschio

Come il demonio dei Vangeli il mio nome è Legione. Sono te perché sei me. O sarai perché fui. Tu ed io. Noi due. Voi, gli altri, gli innumerevoli voi che si risolvono in me.

(…)

Poi fui, al punto di trasformarmi in luogo comune, simbolo di saggezza. Perché la cosa più saggia è anche la più ovvia. Siccome nessuno vuole guardarlo in faccia non sarà mai superfluo ripeterlo: Non siamo cittadini di questo mondo ma passeggeri in transito per la terra prodigiosa e intollerabile. Se la carne è erba e nasce per essere tagliata, sono per il tuo corpo quello che l’albero è per la prateria: non invulnerabile, neppure durevole, ma materiale consistente o resistente. Quando tu e tutti i nati nel vuoto del tempo che ti fu dato in prestito, terminerete di rappresentare il vostro ruolo in questo dramma, questa farsa, questa tragica e buffa commedia, io rimarrò per lunghi anni: scarno disincarnato. Serena smorfia, volto segreto che ti rifiuti di guardare (togliti la maschera: in me troverai il tuo vero volto), benché lo sai intimo e tuo e che sempre ti accompagna. E porta dentro, in fugaci cellule che ogni istante muoiono a milioni, tutto ciò che sei: il tuo pensiero, la tua memoria, le tue parole, le tue ambizioni, i tuoi desideri, le tue paure, i tuoi sguardi che attraverso la luce erigono l’apparenza del mondo, il tuo allontanamento o intendimento di ciò che realmente chiamiamo realtà. Quello che ti eleva al di sopra dei tuoi dimenticati simili, gli animali, e quello che ti pone sotto di essi: il segno di Caino, l’odio verso la tua specie, la tua capacità bicefala di fare e distruggere, formica e tarlo.

(…)

Perché vengo con voi ovunque. Sempre con lui, con lei, con te, aspettando senza protestare, aspettando. Degli eserciti dei miei simile si è forgiata la storia. Delle mie polveri è impastata la terra.

(…)

Dunque, chi lo direbbe, io – maschera della morte – sono il più profondo dei tuoi segni di vita, la tua impronta finale, la tua ultima offerta di spazzatura al pianeta che non sta più in sé stesso per tanti morti. Sebbene perdurerò solo per breve tempo, in ogni caso molto superiore a quello che hanno concesso a te.

(…)

Ogni bellezza ed ogni intelligenza giacciono in me, e mi ripudi. Mi vedi come segno della paura dei morti che si rifiutano di essere morti, o morte pura e semplice: la tua morte. Perché posso venire a galla solo col tuo naufragio. Appaio solo quando hai toccato il fondo. Ma ad una certa età mi insinuo nei solchi che mi disegnano, nei capelli che condividono il mio consunto biancore. Io, il tuo vero volto, la tua apparenza ultima, il tuo viso finale che ti rende Nessuno e diventa Legione, oggi ti offro uno specchio e ti dico: Contemplati.

 

(José Emilio Pacheco, “Prosa del Teschio”, da “Fine di secolo ed altre poesie”, Messico, Fondo de Cultura Económica / Secretaría de Educación Pública, Lecturas Mexicanas No. 44, 1984, pp. 114-117)

 

II. – LA PERTINENZA DELLA RIFLESSIONE CRITICA.

“Quando l’ipocrisia comincia ad essere di pessima

qualità, è ora di cominciare a dire la verità”

Bertold Brecht.

La guerra dell’alto prosegue, e col suo passo di distruzione si vorrebbe anche che tutti incomincino ad accettare quest’orrore quotidiano come se fosse qualcosa di naturale, qualcosa di impossibile da cambiare. Come se la confusione imperante fosse premeditata e volesse democratizzare una rassegnazione che immobilizza, che conforma, che sconfigge, che arrende.

In tempi in cui si organizza la confusione e si esercita coscientemente l’arbitrio, è necessario fare qualcosa.

E qualcosa è tentare di disorganizzare questa confusione con la riflessione critica.

Don Luis, come potrà vedere nelle missive che le allego, si sono uniti a questo scambio di riflessioni su Etica e Politica, Carlos Antonio Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Sergio Rodríguez Lascano e Gustavo Esteva. Speriamo che altri pensieri si aggiungano in questo spazio.

In questa seconda nostra lettera, vorrei toccare alcuni dei punti che lei affronta nella sua risposta e che, direttamente o indirettamente, segnalano anche i nostri corrispondenti che lanciano le loro idee da Città del Messico, Oaxaca e Uruguay.

Tutti affrontano, con le proprie particolarità, cioè, nel calendario e geografia propri, questo tema della riflessione critica. Sono sicuro che nessuno di noi (lei, loro, noi) pretendiamo di stabilire verità assolute. Il nostro proposito è lanciare il sasso, le idee, nello stagno apparentemente tranquillo dell’attuale ambito teorico.

La similitudine del sasso che ho usato, va oltre la retorica della superficie momentaneamente agitata dal sasso. Si tratta di arrivare al fondo. Di non accontentarsi dell’evidente, ma di attraversare con irriverenza lo stagno immobile delle idee ed arrivare al fondo, sotto.

Nell’epoca attuale la riflessione critica è apparentemente stagnante. E dico apparentemente se ci si attiene a quello che viene presentato come riflessione teorica sui media stampati ed elettronici. E non si tratta solo del fatto che quello che è urgente abbia soppiantato ciò che è importante, in questo caso, i tempi elettorali la distruzione del tessuto sociale.

Si dice, per esempio, che l’anno che ci preoccupa, il 2011, è un anno elettorale. Bene, lo sono stati anche tutti gli anni precedenti. Inoltre, l’unica data che non è elettorale nel calendario di quelli che stanno sopra è… il giorno delle elezioni.

Ma ormai si vede che l’immediatezza difficilmente può distinguere tra quello che è accaduto ieri da quello che è successo 17 anni fa.

Salvo le “fastidiose” interruzioni dovute alle catastrofi naturali ed umane (perché i crimini quotidiani di questa guerra sono una catastrofe), i teorici dell’alto, o i pensatori dell’immediato, tornano sempre sul tema elettorale… o fanno equilibrismi per legare qualunque cosa al tema elettorale.

La teoria spazzatura, come il cibo spazzatura, non nutre, intrattiene soltanto. E di questo sembra trattarsi se ci atteniamo a quello che appare sulla stragrande maggioranza dei quotidiani e delle riviste, così come nelle pagine degli “specialisti” dei media elettronici del nostro paese.

Quando questi dispensatori di teoria spazzatura guardano in altre parti del Mondo e deducono che le mobilitazioni che abbattono i governi sono il prodotto di telefoni cellulari e reti sociali, e non di organizzazione, capacità di mobilitazione e potere di convocazione, esprimono, oltre ad un’estrema ignoranza, il desiderio inconfessato di ottenere, senza sforzo, il loro posto nella “STORIA”. “Twitta e guadagnerai i cieli” è il loro moderno credo.

E, come i “prodotti miracolosi”, questi esaltatori dell’Alzheimer teorico e politico, promuovono soluzioni facili per l’attuale caos sociale.

A nessuno accade che, come si vede nelle pubblicità, se usa la tale lozione per uomo o il tal profumo per donna, si troverà istantaneamente in Francia, ai piedi della Torre Eiffel, o nei bar della Londra di chi sta in alto.

Ma, come i prodotti miracolosi che promettono di far perdere peso senza fare esercizio fisico e astenersi dal cibo, e ci sono persone che ci credono, c’è anche chi crede che si possa avere libertà, giustizia e democrazia solo tracciando un segno su una scheda a favore della permanenza del Partito Azione Nazionale, dell’arrivo del Partito della Rivoluzione Democratica o del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale.

Quando queste persone sentenziano che esiste una sola opzione, la via elettorale o la via armata, non solo dimostra la sua mancanza d’immaginazione e di conoscenza della storia nazionale e mondiale. Ma anche, e soprattutto, torna a tessere la trappola che è servita da pretesto per l’intolleranza e l’esigenza di unanimità fascista e retrograda da parte di uno o un altro schieramento dello spettro politico.

“Brillante” analisi questa che pone l’urgenza di definizioni… rispetto alle opzioni che impongono quelli che stanno in alto.

Sulle false opzioni pone molto bene l’allerta Gustavo Esteva, nel suo testo, e credo che lanci un argomento speciale in questo scambio a distanza.

Invece di cercare di imporre i loro deboli assiomi, potrebbero scegliere di discutere, di argomentare, di tentare di convincere. Invece no. Si trattò e si tratta di imporre.

Credo sinceramente che a loro non interessi discutere sul serio. E non solo perché non hanno argomenti di peso (fino ad ora è tutto solo un elenco di buone intenzioni e ingenuità che sfiorano il patetico, dove il Partito Azione Nazionale dimostra che lo “stile Fox” non è un caso isolato, ma tutta una scuola di dirigenti in quel partito; dove il Partito Rivoluzionario Istituzionale predica l’autismo rispetto alla propria storia; dove il variopinto mondo dell’autodefinita sinistra istituzionale vuole convincere con slogan in mancanza di argomenti), ma perché non si vuole cambiare niente di fondo.

È perfino comico vedere gli equilibrismi per compiacere le masse (sì, le disprezzano ma ne hanno bisogno) e contemporaneamente corteggiare senza pudore il potere economico.

Per loro si tratta esattamente di agire nel ristretto margine di manovra delle macerie dello Stato Nazionale in Messico, per tentare di esorcizzare una crisi che, quando scoppierà, spazzerà via anche loro, cioè, la classe politica nel suo insieme. Insomma: per loro è una questione di sopravvivenza individuale.

La vocazione di informatori, delatori e gendarmi calza bene a questa spazzatura teorica che ha animato l’isteria intellettuale ed artistica, prima contro il movimento studentesco del 1999-2000 e del suo Consiglio Generale di Sciopero, e poi contro tutto quello che non accettava le direttive di questo covo di poliziotti del pensiero e dell’azione.

Si vuole stabilire una differenziazione che è piuttosto un esorcismo: ci sono loro, i perbene, cioè, i civilizzati, e ci sono gli altri, i barbari.

Nella loro esile struttura teorica ci sono, da una parte (sopra), gli individui brillanti, saggi, misurati, prudenti; e dall’altra parte (sotto) c’è la massa oscura, ignorante, disordinata e provocatoria.

Di là: i prudenti e maturi usurpatori della rappresentatività delle maggioranze.

Di qua: le minoranze violente che rappresentano solo sé stesse.

-*-

Ma supponiamo che a loro interessi discutere e convincere.

Discutiamo, per esempio, delle reali conseguenze del progetto ultradecennale di Azione Nazionale di cambiare una nota strofa dell’Inno Nazionale Messicano per mettere al suo posto “Pensa, Oh Amata Patria! il cielo una vittima collaterale in ogni figlio ti diede”, e rispetto al quale nessuno degli altri partiti ha presentato un’alternativa puntuale e decisa.

O la presunta bontà del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale ed il conseguente ritorno di tutta una cultura di corruzione e crimine che ha travolto l’insieme della classe politica messicana.

O le possibilità reali del progetto di far fare retromarcia alla ruota della storia e tornare allo Stato Benefattore, che è la proposta dell’ancor debole coalizione di opposizione.

Tutti, oltre a detestare la riflessione teorica (chiaro, quella che non sia un puerile autocompiacimento), si propongono l’impossibile: mantenere, riscattare o rigenerare le macerie di uno Stato Nazionale che ha generato e dato corpo al sistema di partiti di Stato. Quel sistema che ha trovato nel Partito Rivoluzionario Istituzionale il suo migliore specchio e rispetto al quale l’intera classe politica di quelli che stanno in alto, oggi si sforza di somigliare.

O non si sono resi conto fino a che punto sono distrutte le basi di questo Stato? Come mantenere, riscattare o rinnovare un cadavere? Ed anche così, è molto tempo che la classe politica e gli analisti che l’accompagnano si impegnano invano ad imbalsamare le rovine.

Ma si capisce, l’ignoranza non è condannabile. Chiaro, a meno che si vesta di saggezza.

Non è possibile, diciamo noi, presentare qualunque tipo di soluzione al disastro dello Stato Nazionale senza toccare il sistema responsabile di questa rovina e dell’incubo che avvolge il paese intero.

Noi diciamo che ci sono le soluzioni, ma possono nascere solo dal basso, da una proposta radicale che non aspetta un consiglio di saggi per legittimarsi, ma è già in atto, cioè, si lotta in molti angoli del nostro paese. Pertanto, non è una proposta unanime nella sua forma, nel suo modo, nel suo calendario, nella sua geografia. Ma è plurale, includente, partecipativa. Niente a che vedere con le unanimità che pretendono di essere imposte da azzurri, gialli, rossi, verdi, rosa, e le varie comparse che li accompagnano.

Ma noi, ammettiamo che possiamo sbagliarci. Che può essere, è un’ipotesi, che la distruzione perpetrata lasci ancora un margine di manovra per rifare, dall’alto, il tessuto sociale.

Ma, invece di incoraggiare un dibattito serio e profondo, ci viene chiesto di tornare a tacere e, un’altra volta, ci si esorta di nuovo ad appoggiare i nostri persecutori, chi, per esempio, copre con le sue parole o il suo silenzio persone come Juan José Sabines Guerrero, chi dal governo del Chiapas persegue e reprime chi non si unisce al falso coro di lodi per le sue bugie fatte governo, chi persegue i difensori dei diritti umani sulla Costa e negli Altos del Chiapas e gli indigeni di San Sebastián Bachajón che si rifiutano di prostituire la loro terra, chi fomenta l’azione di gruppi paramilitari contro le comunità indigene zapatiste.

Chi realmente conosce quello che si sta facendo e disfacendo in Chiapas e non ha paura, ha così ribattezzato lo slogan di Sabines: “Disfatti, non parole”. Sabines Guerrero è ciò che meglio rappresenta la putrefatta classe politica messicana: ha l’appoggio del PAN, del PRI, del PRD e del movimento di AMLO; è generoso con i media perché dicano quello che gli conviene e tacciano su quello che non gli conviene; ha un aspetto inconsistente, un’immagine pronta a polverizzarsi in qualsiasi momento; e governa come se fosse il solerte capoccia di una tenuta porfirista.

Ed ancora ci viene chiesto di “fornire contributi critici e costruttivi” ad un movimento diretto e guidato per ripetere la stessa storia di oppressione, ma con altri nomi.

Quando capiranno che esistono individui, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti, ai quali non interessa cambiare quello che sta sopra né rinnovare (cioè, riciclare) una classe politica parassita?

Noi non vogliamo cambiare tiranni, padroni o supremi salvatori, ma non averne nessuno.

Infine, se di qualcosa bisogna ringraziare là in alto, è che ancora una volta hanno rivelato la povertà teorica e l’evidente debolezza strategica di chi si proponeva e propone di mantenere, sostituire o riciclare quelli che stanno sopra per esorcizzare la ribellione di quelli che stanno sotto.

Credo sinceramente che una profonda riflessione critica dovrebbe cercare di allontanare lo sguardo dall’ipnotico carosello della classe politica e guardare ad altre realtà.

Che cosa hanno da perdere? In ogni caso, avranno più argomenti per auto-costituirsi come  “l’unica alternativa possibile”. Dopo tutto, le altre e gli altri sono così piccoli e (uffa!) così radicali.

Anche se a volte riescono a vedere ..…

Che l’eroico lavoro di collettivi anarchici e libertari per sottrarsi alla logica del mercato capitalista è effetto e causa di un pensiero radicale. E che il futuro scommette principalmente sul pensiero radicale. Cosicché farebbero bene a guardare con rispetto quel variopinto modo di avere identità propria: i piercing, i tatuaggi, le chiome multicolore e tutti quegli accessori che tanto gli fanno orrore.

O la lotta di organizzazioni sociali di sinistra indipendenti che scelgono di organizzare autisti, mini-micro-nano commercianti (…), invece di organizzare automobilisti, camere di commercio ed associazioni di categoria, e che possono rendere conto di cambiamenti importanti delle loro condizioni di vita. E non grazie all’assistenzialismo elettorale, ma attraverso l’organizzazione collettiva con progetti immediati, mediati e a lungo termine. Si mantengono indipendenti e così resistono.

O la leggendaria resistenza dei popoli originari. Se c’è qualcuno conosce dolore e lotta, sono loro.

O la degna rabbia delle madri e dei genitori di assassinat@, desaparecid@s, detenut@. Perché farebbero bene a ricordare che in questo paese non succede niente… fino a che le donne non decidono che succeda.

O l’indignazione quotidiana di opera@, impiegat@, contadin@, indigen@, ragazz@ di fronte al cinismo dei politici, senza distinzione di colore.

O la dura lotta delle lavoratrici e dei lavoratori del Sindacato Messicano degli Elettricisti nonostante, loro sì, avere contro una gigantesca campagna mediatica, repressione, prigione e minacce e vessazioni.

O la tenace lotta per la libertà de@ prigionier@ politic@ e la presentazione in vita dei desaparecidos.

O no? La democrazia che loro vogliono non è altro che un’amnesia amministrata a convenienza? Si seleziona cosa vedere, e così si sceglie che cosa dimenticare?

 

III. – L’INDIVIDUO CONTRO IL COLLETTIVO?

Nella sua missiva, Don Luis, lei tocca il tema dell’individuo e del collettivo. Una vecchia discussione di quelli che stanno sopra li contrappone, e l’hanno già usata per fare l’apologia di un sistema, il sistema capitalista, rispetto alle alternative che nascono in sua opposizione.

Collettivo, ci dicono, cancella l’individualità, la soggioga. Quindi, con un rozzo balzo teorico, si cantano le lodi del sistema dove, si ripete, qualunque individuo può diventare ciò che è, buono o cattivo, perché esiste la garanzia di libertà.

Mi rendo conto che questo concetto di “libertà” è qualcosa su cui bisognerebbe andare più a fondo, ma forse sarà in un’altra occasione, per ora torniamo all’individuo… o individua, secondo il caso o cosa.

Il sistema canta le lodi dell’individuo che sta sopra o di quello che sta sotto.

Di quello che sta sopra perché risaltando la sua individualità, buona o cattiva, efficiente o inefficiente, brillante od oscura, occulta la responsabilità di una forma di organizzazione della società. Così, abbiamo individui governanti cattivi… o più cattivi (scusate, non ne ho trovato nessuno che mi permettesse di dire “o buoni”), idem per individui di potere economico, eccetera.

Se l’individuo che sta sopra è perverso, volgare, crudele e ostinato (lo so, sembra il profilo di Felipe Calderón Hinojosa), quello che bisogna fare è eliminare questo individuo cattivo e mettere al suo posto un individuo buono. E se non ci sono individui buoni, allora il meno peggio (lo so, sembra che stia ripetendo lo slogan elettorale di 5 anni fa e che sta per essere riciclato).

Il sistema, cioè, la forma di organizzazione sociale, resta intatta. O soggetta alle variazioni permesse. Cioè, si possono fare alcuni cambiamenti, ma senza che cambi la cosa fondamentale: pochi che stanno sopra, molti che stanno sotto, e quelli che stanno sopra ci stanno a costo di quelli che stanno sotto.

Si plaude e si ammira l’individuo che sta sotto, perché la ribellione individuale non è in grado di mettere in serio pericolo il funzionamento di quella forma di organizzazione sociale. O lo si ridicolizza ed attacca, perché l’individuo è vulnerabile.

Mi permetta dunque un arbitrio retorico: diciamo che le aspirazioni fondamentali di ogni essere umano sono: vita, libertà, verità. E che forse si può parlare di una gradualità: miglior vita, più libertà, maggiore conoscenza.

È possibile che l’individuo possa raggiungere in pienezza queste aspirazioni e le sue rispettive gradualità a livello collettivo? Noi crediamo di sì. In ogni caso, siamo sicuri che non può raggiungerli senza il collettivo.

“Dove, con chi, contro che cosa?”. Queste, diciamo noi, sono le domande la cui risposta definisce il posto dell’individuo e del collettivo in una società, in un calendario ed una geografia precisi.

E non solo. Definiscono inoltre la pertinenza della riflessione critica.

Prima ho detto che queste riflessioni collettive non pretendono di arrivare alla verità in generale, ma vogliono allontanarsi dall’unanime bugia che ci vogliono imporre dall’alto.

-*-

Solo qualche parola sul lavoro e i sacrifici che ora sembrano solo di individui solitari.

A chi critica le diverse iniziative che, ancora disseminate, nascono dal dolore sociale, bisognerebbe ricordare che, giudicando e condannando chi fa qualcosa, assolve chi non fa niente.

Perché distruggere l’arbitrio, disorganizzare la confusione, fermare la guerra, sono compiti collettivi.

 

 

IV. – COSA ACCADRÀ.

Il mondo come ora lo conosciamo sarà distrutto. Sconcertati e malconci, non potranno rispondere niente ai propri vicini quando gli domanderanno “Perché?”

Prima, ci saranno mobilitazioni spontanee, violente e fugaci. Poi un riflusso che permetterà loro di tirare un respiro di sollievo (“pfuiii! è passata!”). Ma, poi arriveranno nuove sollevazioni, ma organizzate, perché vi parteciperanno collettivi provvisti di identità.

Allora, vedranno che i ponti che hanno distrutto, credendo che fossero stati costruiti per aiutare i barbari, non solo sarà impossibile ricostruirli, ma si accorgeranno che quei ponti c’erano anche per essere aiutati.

E loro diranno che verrà un’epoca di oscurantismo, ma non sarà altro che semplice rancore, perché la luce che volevano fermare e gestire non servirà assolutamente a quei collettivi che hanno fatto luce propria, e con essa ed in essa camminano e cammineranno.

Il mondo non sarà più lo stesso mondo. Nemmeno sarà migliore. Ma si sarà dato una nuova opportunità di essere il luogo in cui sia possibile costruire la pace con lavoro e dignità, e non un continuo andare contro corrente in un incubo senza fine.

Allora, messo in poesia, in una scritta su un muro distrutto si leggeranno le parole di Bertold Brecht:

Voi, che emergerete dalla marea nella quale noi siamo annegati, ricordate quando parlate delle nostre debolezze, anche i tempi bui ai quali voi siete scampati. Abbiamo camminato, cambiando più spesso i paesi delle scarpe, attraverso le guerre di classe, disperati, quando c’era solo ingiustizia e nessuna rivolta. Eppure sappiamo che anche l’odio verso la bassezza distorce i tratti del viso. Anche l’ira per le ingiustizie rende la voce rauca. Purtroppo, noi, che volevamo preparare il terreno per la gentilezza non potevamo essere gentili. Ma voi, quando sarà venuto il momento in cui l’uomo sarà amico dell’uomo, ricordate noi con indulgenza.

 

Bene Don Luis. La saluto e che non vinca di nuovo l’immobilismo.

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Aprile 2011

 

 

P.S. – E per concludere questa missiva, la morte è arrivata un’altra volta col suo imprevisto passo. Felipe Toussaint Loera, un cristiano di quelli che credono nella necessità della giustizia terrena, se n’è andato un pomeriggio di questo caldo aprile. Di Felipe e di altr@ come lui abbiamo parlato in testi recenti. Egli è stato ed è parte di quella generazione di uomini e donne che sono stati dalla parte degli indigeni quando non erano ancora di moda, ed anche quando non lo erano più. Lo ricordo in una delle riunioni preparatorie dell’Altra Campagna, nel 2005, mentre ratifica il suo impegno nell’inscrivere la sua storia individuale nella storia di un collettivo che rinasce più volte. Salutiamo la sua vita, perché in vita, alle domande “dove?, con chi?, contro che cosa?” Felipe ha risposto: “in basso, con gli indigeni che lottano, contro il sistema che li sfrutta, li spoglia, li reprime e li disprezza”. Tutte le morti di sotto addolorano, ma ci sono alcune che dolgono più da vicino. Con quella di Felipe, è come se ci fosse mancato qualcosa di molto nostro.

 

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/11/sci-marcos-de-la-reflexion-critica-individus-y-colectivs-carta-segunda-a-luis-villoro-en-el-intercambio-espistolar-sobre-etica-y-politica/

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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verità sul conflitto in san sebastian bachajon

La Jornada – Mercoledì 13 aprile 2011

La dirigente del PRI, Arely Madrid, dichiara che difenderà Agua Azul “contro tutto e tutti”

Hermann  Bellinghausen. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 12 aprile. Il conflitto irrisolto a San Sebastián Bachajón (Chilón) non si deve, come hanno fatto intendere le versioni ufficiali, ad una presunta disputa per le cascate di Agua Azul, ma all’eventuale imposizione alle comunità indigene di un ambizioso progetto di costruzione di strade ed ecoturistico negli Altos e nella zona Nord dello stato.

Come parte del clima ostile contro L’Altra Campagna a San Sebastián, la deputata locale, ex segretaria di Governo e dirigente priista Arely Madrid Tovilla, lunedì ha dichiarato: “Bisogna difendere contro tutto e tutti il sito turistico di Agua Azul, e si legifererà in questo senso, se necessario”.

La presidentessa della Giunta di Coordinamento Politico del Congresso statale, ha anticipato che la legislatura locale potrebbe intervenire “quando riterrà necessario fare un accordo o presentare un’iniziativa del Congresso per preservare quegli spazi, che già da tempo (sic) sono stati dichiarati patrimonio del nostro stato e della nazione”.

La deputata ha poi detto quanto risaputo: che le cascate di Agua Azul sono un “baluardo turistico ed una delle principali bellezze naturali del Chiapas”. Sostiene che i deputati locali “conoscono perfettamente la situazione del luogo, anche se non sono autorizzati ad intervenire a meno che non venga indicato loro”. Questo, senza precisare chi “indicherebbe” di intervenire ai legislatori.

Quello che né lei né nessuno altro dice, è che non esiste nessuna contesa per lo stabilimento balneare, gestito da decenni dagli ejidatarios di Agua Azul (municipio di Tumbalá). Il posto conta su buone infrastrutture, regolare aiuti governativi ed ha sempre avuto un botteghino di riscossione all’ingresso, gestito dagli stessi ejidatarios “turistici”, come vengono formalmente definiti.

 

Il “conflitto” in atto nel vicino ejido di San Sebastián non ha niente a che vedere con quanto detto sopra. Per anni, centinaia di migliaia di turisti che visitano il sito anno dopo anno, lo fanno attraversando le terre di San Sebastián, ai cui abitanti fu imposta quella strada di accesso, per la quale incassano invece i vicini, beneficiari inoltre dei guadagno dallo stabilimento balneare stesso.

Quando l’ejido di San Sebastián ha aderito all’Altra Campagna, ha deciso di sviluppare pratiche autonome e si è coordinato (come altre comunità indigene dell’Altra Campagna in Chiapas) con le giunte di buon governo dell’EZLN. Uno dei suoi progetti era installare un secondo botteghino, per far pagare l’uso del suo territorio per l’accesso dei visitatori alle spettacolari cascate, perché la strada di 4 chilometri che conduce allo stabilimento balneare, che si trova sul suo territorio, serve solo per questo e per il transito della popolazione locale, che non paga nessun pedaggio.

Da allora, gli ejidatarios del PRI, o i filogovernativi (PVEM, PAN e PRD) di Agua Azul e San Sebastián, ed i governi municipali di Chilón e Tumbalá, hanno realizzato o appoggiato diverse aggressioni, non per far ritirare il nuovo botteghino, ma per appropriarsene, e non per ripartire il ricavato tra tutti gli ejidatarios, ma per concentrarlo solo in poche mani. Oggi è tutto nelle mani della segreteria statale del Fisco. Un altro spazio che è in disputato è la cava di sabbia dell’ejido, ripetutamente invasa dai filogovernativi, sempre con il sostegno della Segreteria di Governo e della polizia municipale, statale e federale.

 

L’Esercito Messicano ha una postazione fissa a Xanil, dentro San Sebastián, ed è in questa comunità dove si orchestrano azioni contro gli ejidatarios dell’Altra Campagna e perfino contro le basi di appoggio zapatiste della regione autonoma di San José en Rebeldía, parte del municipio zapatista Comandanta Ramona, appartenente al caracol di Morelia.

Il nocciolo della questione va molto oltre. Presso i governi federale e statale giace il progetto, fino ad ora monco, di costruire un’autostrada privata, di altura, tra San Cristóbal e Palenque, per rilanciare il turismo, e che ha ad Agua Azul, insieme alla zona archeologica di Palenque, i suoi due “gioielli”. Gli ejidatarios dell’Altra Campagna in diverse comunità della regione, come Jotolá e Mitzitón, si oppongono a queste opere che, sostengono, distruggeranno terre, sorgenti e spazi comunitari. Per questi motivi è in corso il conflitto, non per lo stabilimento balneare. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/13/index.php?section=politica&article=023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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lettera Marcos..continua

La Jornada – Mercoledì 13 aprile 2011

Marcos: Gli avvoltoi politici scrutano Sicilia per capitalizzare la sua perdita

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 12 aprile. Proseguendo lo scambio epistolare col filosofo Luis Villoro, il subcomandante Marcos, dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ha diffuso oggi uno scritto nel quale riflette criticamente sulla violenza nel paese. Inizia con un riconoscimento al poeta Javier Sicilia e la lotta che sta portando avanti dopo l’omicidio di suo figlio Juan Francisco:

“Il dolore e la rabbia di Javier Sicilia (lontano pera distanza ma vicino da sempre per ideali) , si fanno eco che riverbera tra le nostre montagne. C’è d’aspettarsi e dà speranza che la sua leggendaria tenacia, così come ora convoca la nostra parola e azione, riesca a radunare le rabbie e dolori che si moltiplicano sui suoli messicani.

“Di don Javier Sicilia ricordiamo le sue critiche irriducibili ma fraterne al sistema di educazione autonoma nelle comunità indigene zapatiste e la sua ostinazione ricordando periodicamente, terminando la sua colonna settimanale sulla rivista messicana Proceso, la pendenza del compimento degli Accordi di San Andrés.

“La tragedia collettiva di una guerra insensata, concretata nella tragedia privata che l’ha colpito, ha messo don Javier in una situazione difficile e delicata. Molti sono i dolori che aspettano di trovare eco e volume nel suo reclamo di giustizia, e non sono poche le inquietudini che aspettano che la sua voce accorpi, che non guidi, le voci ignorate di indignazione.

“E succede anche che intorno alla sua figura ingigantita dal dignitoso dolore, volino gli avvoltoi mortiferi della politica dell’alto, per i quali una morte vale solo se somma o sottrae nei loro progetti individuali e di gruppuscoli, benché si nascondano dietro una rappresentatività”.

In uno scritto che comprende ampi riferimenti a José Emilio Pacheco e Bertolt Brecht, Marcos annuncia a Villoro che si sono uniti allo scambio epistolare altri autori: Raúl Zibechi, Sergio Rodríguez Lascano, Gustavo Esteva e Carlos Aguirre Rojas (i suoi “corrispondenti a Città del Messico, Oaxaca ed Uruguay”).

Critica inoltre il governo di Juan José Sabines Guerrero che “persegue e reprime chi non si unisce al falso coro di lodi alle sue menzogne fatte governo, che persegue i difensori dei diritti umani nella Costa e negli Altos del Chiapas e gli indigeni di San Sebastián Bachajón che si rifiutano di prostituire la loro terra, che fomenta l’azione di gruppi paramilitari contro le comunità indigene zapatiste”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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minacce di arresto

La Jornada – Martedì 12 aprile 2011

In Chiapas vengono minacciati di arresto coloro che aiutano i membri dell’Altra Campagna

Hermann Bellinghausen.San Cristóbal de las Casas, Chis. 11 aprile. I gruppi filogovernativi dell’ejido di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), secondo la versione degli ejidatarios dell’Altra Campagna, hanno minacciato di “catturare” i difensori dei diritti umani e le persone che danno solidarietà concreta. Sebbene gli avvocati dei cinque indigeni detenuti non hanno mai smesso di svolgere il loro lavoro, di fatto lo fanno a loro rischio. Non molto tempo fa, alcuni avvocati della costa chiapaneca sono stati arrestati nello svolgimento del loro lavoro.

Questo trattamento si estende agli osservatori civili e dell’Altra Campagna, alla stampa alternativa e commerciale, e potenzialmente agli stessi turisti che tanto si adulano ufficialmente e che accorrono in gran numero alle cascate, e tanto più ora che si avvicina il periodo vacanziero. Le minacce sono giustificate col  pretesto che questi “stranieri” sarebbero la causa del “problema”.

Minacce simili hanno sono circolate recentemente a Mitzitón, un’altra comunità dell’Altra Campagna che si oppone a progetti di strade e turistici del governo ed agli investitori privati. A Bachajón si riproduce all’interno dell’attuale occupazione poliziesca di alcune località iniziata il 2 febbraio e che si è acutizzata l’8 aprile con l’intervento di centinaia di poliziotti e militari per riprendere il controllo del botteghino di ingresso di San Sebastián – fugacemente recuperato la sera prima dagli ejidatarios dell’Altra Campagna che l’hanno costruito – alle cascate del vicino ejido di Agua Azul (Tumbalá), che ha un proprio botteghino di ingresso.

Nei diversi “conflitti” o “problemi” comunitari in corso, relazionati con le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) o dell’Altra Campagna, emerge un modello, tanto nell’ostilità e nell’aggressione dei gruppi filogovernativi verso gli autonomi, quanto nel chiaro intervento statale, sia di carattere repressivo oppure di “politica sociale”.

La strategia contrainsurgente non è nuova, semplicemente si evolve e diventa più evidente. A San Sebastián si è osservato che gli ex aderenti dell’Altra Campagna che hanno abbandonato la resistenza, godono di privilegi e protezione statale maggiori di quelli dispensati ai gruppi filogovernativi e legati ai partiti politici.

Questo spiega perché, dopo la loro defezione, nel gennaio scorso abbiano potuto occupare impunemente una fattoria nel municipio di Sitalá. Poche settimane dopo attaccarono con le armi il botteghino di riscossione dell’Altra Campagna, lo occuparono per poche ore e poi lo consegnarono al governo statale.

Col nuovo e schiacciante operativo poliziesco-militare del fine settimana per sottrarre il botteghino agli ejidatarios tzeltales, si è resa palese la connivenza tra i poliziotti e questi ex aderenti, così come dei membri del Partito Verde Ecologista del Messico, al punto che hanno fatto da guide nella notte di venerdì per entrare ad Agua Azul e per andare la mattina seguente a San Sebastián, circondarlo ed attaccare a sassate oltre mezzo migliaio di indigeni che si trovavano nella zona.

L’aggressione di sabato è arrivata da tre diversi sentieri, ma le famiglie dell’Altra Campagna sono riuscite a scappare dai loro villaggi, evitando di “cadere nella provocazione”, come hanno affermato domenica scorsa.

È noto come in certi ambienti della resistenza, come il municipio autonomo di Polhó e Las Abejas di Acteal (dell’Altra Campagna), la pressione dei programmi governativi sia forte, quasi ossessiva. Lì, come a San Andrés o El Bosque, le diserzioni sono quotate molto alte. La Jornada ha raccolto testimonianze che lo confermano.

Solo domenica, la giunta di buon governo di La Garrucha denunciava le minacce e le pressioni che ricevono le sue basi di appoggio nell’ejido di Cintalapa, i cui abitanti potrebbero essere spogliati delle terre questa stessa settimana per non aver consegnato il loro certificato elettore ai priisti, non aver chiesto né accettato gli aiuti governativi e per mandare i loro figli alle scuole autonome. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/12/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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iniziative Pordenone

SABATO 16 APRILE, ORE 18:00

presso PREFABBRIKATO, Villanova di Pordenone (via Pirandello, 22)

SPETTACOLO TEATRALE

RAZZA PARTIGIANA

segue CENA SOCIALE

organizza

Iniziativa Libertaria – Associazioni Immigrati Pordenone

 

IL PARTIGIANO GIORGIO
Giorgio Marincola fu un bimbo meticcio, figlio della fusione di due
mondi:
nera e somala la madre, bianco e italiano il padre, militare in
servizio nella colonia d’Africa.
Una fusione non certo armoniosa: c’erano la segregazione, il
fascismo, c’erano razze signore e razze schiave che non dovevano
mescolarsi. Il tenente Marincola, però, non del tutto arreso al buon
senso dell’epoca, riconobbe i figli, Giorgio e Isabella, e li portò in
Italia perchè crescessero nella sua terra.
Giorgio fu uno studente liceale, una mente brillante, ispirato da un
professore innamorato della libertà come Pilo Albertelli.
Prese parte alla lotta contro l’occupazione tedesca, tra le fila di
Giustizia e Libertà.
Inseguì, combattendola, tutta la ritirata del nazifascismo.
Dopo Roma, fu in Piemonte, e da lì catturato fu prigioniero nel lager
di Bolzano. La Liberazione, arrivata il 25 aprile, ruppe le sue catene
ma non spense il suo desiderio di riscatto e di giustizia.
Tornò coi partigiani, in Val di Fiemme, per  vigilare sulla ritirata
finale delle SS. Il 4 maggio del ’45, un reparto nazista in fuga, che
nascondeva mitragliatrici dietro la bandiera bianca, aprì il
fuoco su Giorgio e sui suoi compagni.
COLONIALISMO, RESISTENZA, LIBERAZIONE
La storia del partigiano Giorgio, italiano dalla pelle nera, fu
dimenticata per molti decenni.
Riscoprirla ci permette di andare ad indagare alcuni aspetti del
colonialismo italiano, nonché di rendere giustizia ai dimenticati che
diedero la vita per la nostra libertà, in un’epoca, come quella
attuale, di rimozione e confusione autoritaria.
IMMIGRAZIONE E RAZZISMO
Il nostro lavoro si amplia verso altri temi: cerchiamo di guardare al
mondo in cui viviamo, di interrogarci sui concetti di umanità e
cittadinanza; descriviamo un Paese in trasformazione, in cui
nascono tanti nuovi italiani dalla pelle differente, ma in cui le
tensioni del presente si legano a derive politiche populiste e a
pulsioni razziste

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pressioni governative a basi zapatiste a Cintalapa (caracol Garrucha)

La Jornada – Lunedì 11 aprile 2011

La JBG denuncia pressioni del governo contro le basi zapatiste di Cintalapa

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 10 de abril. La giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, con sede nel caracol zapatista di La Garrucha, denuncia la volontà di spogliare delle loro terre e dei diritti ejidali le basi di appoggio zapatiste di Cintalapa (Ocosingo), nella selva Lacandona, se queste non rinunceranno alla resistenza.

Le autorità dell’ejido Cintalapa e i tre livelli di governo “stanno obbligando i nostri compagni a pagare le imposte di proprietà della terra”, dice la JBG. A metà di marzo, le autorità priiste e paniste hanno chiesto alle basi di appoggio zapatiste una copia del loro certificato elettore “per sollecitare un progetto, pagare l’imposta della terra ed ottenere il certificato agrario”.

Hanno inoltre detto loro che avrebbero dovuto obbedire alle autorità, frequentare le scuole ufficiali e pagare per le cooperazioni. Gli zapatisti non hanno accettato, “perché sono in resistenza e non ricevono niente dal malgoverno”. Inoltre, sottolinea la JBG, “hanno le proprie autorità ed educazione autonome (del municipio ribelle Ricardo Flores Magón) e si vede perché debbano essere obbligati a svolgere lavori di cui non beneficiano”.

Il 26 marzo la JBG ha mandato un comunicato all’ejido “chiarendo che le basi di appoggio dell’EZLN sono in resistenza e non pagano imposte”. Il giorno 29, le autorità priiste hanno convocato un’assemblea. Lì, “a Herlindo López Pérez e Macario Juárez Núñez, al tavolo direttivo, non piaceva” quello che dicevano gli zapatisti, “e così hanno cominciato a fare pressioni all’assemblea ed i compagni sono stati obbligati a parlare uno per volta e dire  che cosa volevano, di parlare chiaro, se volevano le loro terre oppure no, ed i compagni hanno risposto che si sarebbero opposti”.

Le autorità ejidali volevano obbligarli a firmare un verbale d’accordo “contrario all’autonomia e alla resistenza”, denuncia la JBG. “I compagni non hanno firmato, le autorità si sono arrabbiate e con parole minacciose hanno detto che li avrebbero privati dei loro diritti, che sarebbero stati spodestati dall’ejido e che avevano cinque giorni per pensarci”.

Queste sono le “provocazioni” delle autorità ejidali di Cintalapa “insieme a quei falsi malgovernanti federali, statali e municipali”, ha dichiarato la JBG. “Come basi di appoggio dell’EZLN, denunciamo energicamente la politica del malgoverno che sta generando disinformazione per confondere la gente onesta che lotta e resiste; il suo piano di contrainsurgencia è creare terrore e paura; usa le persone che si vendono per pochi soldi”.

Bisogna dire che l’ejido di Cintalapa si trova nelle vicinanze della riserva dei Montes Azules, a nord della selva Lacandona, e per molti anni è stata anche una base di operazioni dell’Esercito federale che da lì ha svolto un’intensa attività contrainsurgente che ha profondamente segnato questa comunità tzeltal e ha dato origine alla presenza, almeno occasionale, di paramilitari.

“Noi zapatisti manteniamo con fermezza la dignità e la resistenza, e difenderemo i nostri compagni nonostante il malgoverno tenti di distruggerci con inganni ed elemosine”, dichiara la JBG. “Non ci arrendiamo, non ci vendiamo né tentenniamo. Qui siamo e qui proseguiremo. Non permetteremo che questi priisti perseguitino i nostri compagni in resistenza. Difenderemo i loro diritti perché sappiamo che questo è un piano del governo. Non pagheremo le imposte di proprietà né per l’energia elettrica, non daremo niente al malgoverno perché noi non stiamo ricevendo niente”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/11/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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novità San Sebastian Bachajon (Agua Azul)

La Jornada – Sabato 9 aprile 2011

Gli indigeni riprendono il controllo del botteghino di ingresso alle Cascate di Agua Azul

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios tzeltales aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, Chiapas, la mattina venerdì scorso hanno ripreso il controllo del botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul del loro ejido, nel luogo in cui il governo nel febbraio scorso aveva installato un “modulo di assistenza civica”, dopo che un gruppo di indigeni definiti filo-governativi si era impossessato violentemente dello stesso lo scorso 2 febbraio.

I rappresentanti dell’Altra Campagna hanno comunicato per via telefonica, e poi attraverso un comunicato, che il botteghino era stato ripreso da “uomini e donne dell’Altra Campagna ormai stanchi del processo di dialogo che il governo ha lanciato a modo suo e che attualmente tiene sotto sequestro cinque compagni detenuti a Playas de Catazajá”. (…) Intanto, questo pomeriggio, come riferisce Indymedia Chiapas, si registrava il passaggio di pattuglie e di almeno otto camion con decine di poliziotti in tenuta antisommossa e si osservavano inusuali movimenti militari ad Ocosingo e Chilón in direzione a San Sebastián. (…)http://www.jornada.unam.mx/2011/04/09/index.php?section=politica&article=016n1pol

La Jornada – Domenica 10 aprile 2011

Poliziotti sgomberano a sassate gli indigeni chiapanechi. Hanno partecipato all’operativo agenti federali e perfino i militari. Almeno tre indigeni risultato desaparecidos

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 aprile. A sassate, e aprando almeno 15 colpi in aria, agenti di polizia federali e statali, appoggiati da truppe federali, hanno costretto a fuggire circa 600 contadini tzeltales da San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, che la mattina di ieri avevano ripreso il controllo del botteghino di ingresso alle Cascate di Agua Azul, che gli era stata sottratta due mesi fa da gruppi di indigeni del PRI e del PVEM, i quali l’avevano poi consegnata al governo dello stato. (…) Anche se fino ad ora non si registrano feriti né arresti, tre indigeni risultano scomparsi. Per molte ore i poliziotti hanno impedito l’ingresso dei turisti alle cascate

http://www.jornada.unam.mx/2011/04/10/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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la garanzia dell’integrità dei 5 tzeltales

La Jornada – Venerdì 8 aprile 2011

L’Organizzazione Mondiale Contro La Tortura chiede la garanzia dell’integrità dei 5 tzeltales

Hermann Bellinghausen

La Segreteria Internazionale dell’Organizzazione Mondiale Contro La Tortura (OMCT) di Ginevra, Svizzera, ha espresso la sua preoccupazione per i cinque contadini tzeltales detenuti in Chiapas, tra loro un minorenne, abitanti dell’ejido San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), e denuncia le deplorevoli condizioni in cui si trovano in carcere.

Segnala che i quattro adulti – Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Juan Aguilar Guzmán e Domingo García Gómez – rinchiusi nel Centro Statale di Reinserimento Sociale No. 17, nel municipio di Playas de Catazajá, “hanno denunciato vessazioni da parte del giudice”, che li ha minacciati di mandarli “in cella di punizione”.

L’OMCT sottolinea che: “Si teme che le minacce e le vessazioni si debbano alle azioni di solidarietà che si stanno svolgendo a favore dei detenuti, in particolare con la campagna ‘5 Giorni di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón’ realizzata tra il 1° ed il 5 aprile”. L’organizzazione aggiunge che i detenuti “sono obbligati a svolgere lavori umilianti perché si rifiutano di pagare la quota ‘all’autogoverno’ del centro di detenzione e per difendere il loro diritto ad un trattamento dignitoso”.

Il minorenne Mariano Demeza Silvano resta nel Centro di Internamento Minorile Villa Crisol (municipio di Berriozábal), poiché la procura di giustizia statale ha fissato una cauzione di 22 mila pesos (1.300 euro), somma che i suoi famigliari non possono pagare”.

La Segreteria Internazionale dell’OMCT condanna “ogni violazione dei diritti umani” nel caso; “in particolare la mancanza al giusto processo, il diritto alla presunzione di innocenza ed alla dovuta tutela giudiziaria” degli ejidatarios arrestati a febbraio.

Esprime inoltre preoccupazione per la sicurezza e l’integrità fisica e psicologica di queste persone, e sollecita le autorità statali e federali a garantirla. D’altra parte, sollecita le autorità a rimettere in libertà Demeza Silvano, ancora detenuto con le stesse accuse degli ejidatarios già messi in libertà. Il governo messicano deve “rispettare i suoi obblighi in virtù dei diritti fondamentali su scala internazionale e regionale”. In questo caso, lo esorta “ad operare in conformità alla Convenzione sui Diritti del Bambino”.

L’organizzazione internazionale riconosce l’esistenza di un conflitto tra gli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna ed il governo del Chiapas intorno all’amministrazione e l’utilizzazione delle risorse naturali che si trovano nell’ejido di San Sebastián. Il 6 febbraio, il governo del Chiapas aveva annunciato l’inizio di un tavolo di dialogo, al quale gli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna si sono rifiutati di partecipare. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/08/index.php?section=politica&article=018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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iniziative a Pordenone

iniziative a pordenone

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