La Jornada – Martedì 2 marzo 2011
I detenuti di San Sebastián Bachajón denunciano di essere stati ricattati dal governo del Chiapas
Hermann Bellinghausen
Dalla prigione di Playas de Catazajá, Chiapas, i nove contadini tzeltales dell’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón dichiarano: “Ci tengono in prigione solo in cambio delle nostre terre”. Altri di loro si trovano nella prigione di Villa Crisol (municipio di Berriozábal).
Denunciano che alcuni rappresentanti del governo li hanno visitati ripetutamente nel penitenziario “proponendoci di accettare il dialogo riguardo al territorio su cui sorge il botteghino di accesso alle cascate di Agua Azul”, promettendo in cambio la loro liberazione, “ma conosciamo bene quanto siano ingannevoli le autorità, che vogliono impadronirsi delle risorse e delle terre dei nostri antenati”.
I rappresentanti governativi sostengono l’accordo con gli ejidatarios filogovernativi guidati da Francisco Guzmán Jiménez (Goyito) e Melchorio Pérez Moreno. I reclusi sostengono che “quelli del governo statale sono bugiardi, corrotti e traditori”, visto che ai dirigenti filogovernativi “vengono regalate auto nuove perché convincano la gente a consegnare i terreni che hanno ereditato dai loro genitori”. E ribadiscono: “Ci tengono rinchiusi ingiustamente. Il malgoverno sa che non abbiamo niente a che vedere con i fatti del 2 febbraio scorso”. Come si ricorderà, quel giorno perse la vita uno degli aggressori filogovernativi, vicino al botteghino degli ejidatarios dell’Altra Campagna, appena sgomberati a pistolettate.
Con una visita alla prigione di Catazajá, nove note organizzazioni civili che formano la Rete per la Pace in Chiapas, hanno appoggiato questi indigeni arrestati il 3 febbraio. La rete esprime il suo rifiuto “alla nuova ondata di violenza nello stato, ed in questo contesto di deterioramento guardiamo con preoccupazione la mancanza di volontà o capacità del governo di intervenire nei conflitti, evitando di affrontarli, oppure cercando ‘soluzioni’ a breve termine e, non riuscendoci, ricorrono alla repressione contro gruppi contrari alla sua politica”.
I recenti attacchi a San Sebastián e Mitzitón “sono un’espressione di questa conflittualità sociale, ed entrambi i conflitti sono cresciuti in violenza e polarizzazione”, ed una soluzione “dialogata e pacifica è sempre più urgente”. La rete sottolinea che, nel primo caso, “i gruppi a confronto avevano stabilito meccanismi di dialogo per costruire soluzioni che garantissero l’unità dell’ejido ed il controllo delle risorse naturali a beneficio dei suoi abitanti”. Questa via negoziata si è interrotta “con l’azione unilaterale, appoggiata dal governo dello stato, di occupare con la forza il botteghino di ingresso alle cascate, reprimere una delle parti nel conflitto e condizionare la liberazione dei detenuti all’accettazione delle condizioni imposte. Invece di privilegiare il dialogo, il governo è intervenuto con la repressione ed ha finito per gestire il conflitto prendendo il controllo della zona”.
Questo metodo “è già stato usato” dai governi di Ruiz Ferro ed Albores Guillén, nella zona Nord e negli Altos. “Il risultato di questa strategia è stato un alto numero di morti, sparizioni, migliaia di sfollati e la distruzione del tessuto sociale. Ripetere questo modo di agire è un grave errore in questi tempi di crescente violenza nel paese”, conclude la Rete per la Pace.
Da parte sua, una carovana di molte organizzazioni chiapaneches di donne, dopo aver visitato nei giorni scorsi i detenuti a Catazajá, ha dichiarato: “La guerra in Chiapas non si può nascondere con promesse né con la guerra contro il crimine organizzato. La violazione dell’autonomia delle comunità fa parte delle strategie attualmente rivolte contro la resistenza organizzata di San Sebastián, Mitzitón, Tila e Chicomuselo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/02/index.php?section=politica&article=021n2pol